Chi c’era dietro Nancy Drew

Ho già avuto modo di scrivere qui di Nancy Drew, come vedete il post risale a molti anni fa, ma in questi giorni sulla rivista on line della Smithsonian Institution ho letto un articolo che me lo ha riportato alla mente. Si parla infatti della scrittrice Mildred Wirt Benson, autrice delle prime avventure di Nancy Drew sotto lo pseudonimo di Carolyn Keene.

Prima però facciamo un rapido cenno al personaggio di Nancy Drew.

Questa giovane investigatrice è divenuta l’archetipo di un certo tipo di donna americana: intelligente e impetuosa alle prese con la violenza, ma anche rispettata dalla polizia e da un padre che stravedeva per lei. Anche alla moda. Benché fosse solo un personaggio immaginario, fu fonte di ispirazione, e persino i giudici della Corte Suprema Sandra Day O’Connor, Ruth Bader Ginsburg e Sonia Sotomayor hanno detto che ha avuto un’enorme influenza sulle loro vite.

In più di seicento libri, le avventure di Nancy Drew spesso sono state ripetitive e, sebbene le sue auto e i suoi vestiti siano stati aggiornati spesso, lei aveva sempre la medesima età. Accompagnata dai suoi migliori amici, Bess e George, ha portato alla luce testamenti e cimeli perduti e ha ritrovato persone scomparse. Ha esplorato scale segrete e tetre case infestate. Tenace e coraggiosa, Nancy aveva un fidanzato, il fascinoso Ned. Ha sempre combattuto per riparare i torti, usando l’intelligenza per uscire da situazioni pericolose. Nancy Drew è stata rapita. Le hanno fatto perdere i sensi. Gli avversari le hanno intimato di stare alla larga (altrimenti!).

Ciò che lei offriva alle ragazze americane era l’intraprendenza. Ci ha insegnato a lanciare un SOS con un rossetto, a fuggire da una finestra usando i tacchi a spillo e a tenere sempre in macchina un cambio per la notte – una ragazza non poteva mai sapere quando si sarebbe imbattuta in un’improvvisa investigazione notturna. Le vittime di autentici rapimenti hanno detto che le storie di Nancy Drew le hanno ispirate a usare l’ingegno per fuggire; donne che hanno avuto successo nelle forze dell’ordine dichiarano che Nancy Drew le ha guidate nella carriera.

Il vero mistero di Nancy Drew è come un tale personaggio immaginario possa ispirare donne reali. Si possono trovare indizi in tal senso nella donna che ha creato la personalità della giovane investigatrice, la donna che si chiamava Mildred Wirt Benson. Nel corso degli anni vari scrittori hanno lavorato alle storie di Nancy Drew, che sono state sempre pubblicate sotto lo pseudonimo di Carolyn Keene. Ma i primissimi libri della serie, quelli che determinarono l’indomabile coraggio di Nancy, furono scritti dalla Benson, che era tanto tenace, audace e indipendente quanto la sua eroina.

Mildred Augustine nacque nel 1905 a Ladora, nello Iowa, una comunità agricola rurale vicino a Iowa City. Avida lettrice di classici per bambini come Piccole donne di Louisa May Alcott, riviste per bambini e storie a puntate, preferiva i libri scritti per i ragazzi a quelli per le ragazze perché, diceva, si concentravano sull’ avventura e sull’azione.

L’articolo prosegue raccontandoci che la giovane Benson amava molto scrivere, ma che in un posto come Ladora vi erano ben poche opportunità di carriera per una donna che non volesse metter su famiglia e dare una mano nei campi. Lei era figlia di un medico e i genitori curarono la sua istruzione e la incoraggiarono a seguire la carriera di scrittrice. Dopo la laurea nel 1927 si recò a New York e lì cominciò a lavorare come ghost-writer nella Stratemeyer Syndicate, una compagnia che sfornava manoscritti per le case editrici e che diede origine a serie di grande successo tra le quali quella degli Hardy boys, serie per ragazzi che aveva come protagonisti dei giovani investigatori. Dopo che il magnate della compagnia l’ebbe assunta per lavorare alla serie di Ruth Fielding, che la Benson aveva letto da bambina, le chiese di aiutarlo a lanciare una nuova serie che avrebbe avuto come protagonista un’investigatrice adolescente di nome Nancy Drew. Edward Stratemeyer buttò giù un testo di tre pagine e lo spedì alla Benson; sarebbe stata la prima avventura di Nancy Drew, dal titolo Il segreto del vecchio orologio, e la protagonista sarebbe stata Una moderna ragazza americana, brillante, intelligente, piena di risorse e di energia.

Nancy Drew personificava “l’immagine ideale presente nella maggior parte degli adolescenti”, scrisse la Benson in un saggio autobiografico nel 1973. Questa adolescente degli anni ’30 è stata culturalmente rilevante per più di 80 anni, anche se i ruoli delle giovani donne sono cambiati radicalmente. Madri e nonne hanno passato i libri alle loro figlie. “Le donne mi raccontano ancora come si siano identificate con Nancy Drew e che Nancy Drew ha infuso loro la fiducia di essere ciò che volevano essere”, disse a un’intervistatrice nel 1999.

Mildred Wird Benson si sposò due volte ed ebbe una figlia, ma continuò la propria carriera. Scrisse moltissimi libri e lavorò per più di cinquant’anni come giornalista in Ohio, sulle pagine di due quotidiani della città di Toledo, The Toledo Times e Toledo Blade, battendosi con tenacia contro il crimine locale e la corruzione. Dopo aver scritto intere serie di libri avventurosi, la Benson intraprese vere avventure.

Durante gli anni ’60, si esercitò per diventare un pilota e viaggiò in America Centrale per vedere gli antichi siti Maya prima che fossero aperti al turismo di vaste proporzioni. Viaggiò da sola, sfidando fiumi infestati dai coccodrilli e giungle in cui dovette farsi strada con un machete. Una volta fu persino imprigionata in una stanza, in Guatemala all’inizio degli anni ’60, da alcuni abitanti del luogo che pensavano lei sapesse troppo sull’attività criminale nella loro città. (In quel momento, la Benson disse in seguito, pensò tristemente: “Che cosa farebbe Nancy?”). Alla fine la Benson, in autentico stile Nancy Drew, ebbe la meglio su uno dei rapitori e fuggì, ma come ogni bravo investigatore in seguito tornò in Guatemala per saperne di più su ciò che le era successo.

Siccome la Statemeyer Syndicate non rivelava mai i nomi dei propri dei propri autori, dovettero passare decenni prima che si venisse a sapere, sul principio degli anni ’70, che dietro lo pseudonimo di Carolyn Keene si celasse la Benson e poi agli inizi degli anni ’90 la scrittrice donò alcuni documenti e la propria macchina da scrivere al Museo Nazionale di Storia Americana della Smithsonian Institution. Dopo la conferenza su Nancy Drew del 1993, molto pubblicizzata dall’Università dello Yowa in cui si tenne, la Benson poté finalmente godere del riconoscimento e dell’ammirazione che meritava. Mildred Wirt Benson morì il 28 maggio 2002 alla venerabile età di 96 anni, mentre stava ancora scrivendo per il quotidiano Toledo Blade.

 

Gustave Doré

Ho pochi ricordi nitidi della mia infanzia e quello che sto per raccontarvi è uno di essi.

Nel salotto di casa mia c’era la libreria dei miei genitori, che ho sempre frequentato con curiosità, e in un ripiano piuttosto in alto, fuori della mia portata, c’era un volume di grandi dimensioni rilegato in cuoio rosso.

Oramai avevo letto quasi tutti i libri in casa e quel grande volume stuzzicava molto la mia cutiosità. Mi sarebbe bastato salire su una sedia per prenderlo, ma ero una bambina obbediente, non mi piaceva fare le cose di nascosto, così un giorno chiesi a mia madre di prenderlo per me.

Lei mi spiegò con decisione che non era un libro adatto alla mia età e che non avrei mai dovuto cercare di leggerlo perché mi avrebbe fatto troppa paura.

Non potevo credere che i miei genitori tenessero un casa libri spaventosi e siccome la mamma non mi aveva voluto dire altro, decisi che avrei fatto di testa mia.

Ho detto che ero una bambina obbediente, ma non ci pensai due volte e colsi l’occasione più propizia per placare la curiosità che cresceva.

Un pomeriggio in cui sapevo che mia madre sarebbe stata occupata a lungo, mi arrampicai e presi il pesante volume, poi sedetti sul divano e me lo misi in grembo.

Avevo il batticuore mentre lo aprivo e sis psiegavano sotto i miei occhi impressionanti disegni in bianco e nero che raffiguravano esseri demoniaci e animali feroci, scene di dolore e di tormento, ma più avanti anche immagini lumnose e cvelstiali.

Il libro proibito non era altro che la Divina Commedia di Dante illustrata da Gustave Doré.

Capìì perchè mia madre mi avesse probito di leggerlo e infatti quelle immagini incisive e drammatiche per un po’ di tempo popolarono i miei sogni.

Diventata grande, mi feci regalare qul libro da mia madre e lo conservo tuttora con amore.

Gustave Doré (1832-1883) fu un grande pittore e incisore francese, illustratore di straordinaria perizia, le cui opere sono un fedele specchio del gusto romantico dell’epoca, ma sono anche rese più incisive dalla sua grandiosa visionarietà e dalla sua abilità nel padroneggiare la tecnica.

Forse anche voi non sapete, come ho avuto modo di scoprire, che non illustrò solo libri per adulti, ma anche le fiabe di Charles Perrault nel 1862 e di Jean de la Fontaine nel 1866.

Un rapido giro nella rete mi ha permesso di trovare numerose immagini e ve ne propongo alcune.

Dalle fiabe di Perrault:

Cappuccetto Rosso guarda attonita lo strano aspetto della nonna

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L’orco della fiaba di Pollicino
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Il fatidico fuso de La bella addormentata nel bosco
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L’interno del castello addormentato
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Cenerentola prova la scarpetta
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Il gatto con gli stivali al cospetto dell’orco
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La fuga di Pelle d’asino
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Il terribile Barbablu consegna la fatidica chiave alla moglie
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Dalle favole di la Fontaine:

Il topo di città e il topo di campagna
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La cicala e la formica
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La morte e il boscaiolo
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Il consiglio dei ratti
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Il leone e il moscerino
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Il pavone e Giunone
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Il mugnaio, suo figlio e l’asino
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Come potete vedere, sono immagine di grande forza e con molto gusto per il particolare, che denotano un notevole impianto grafico e esprimono tutta la vitale fantasia del loro autore.

Di lui possiamo dire che fu un artista assai versatile e nella sua carriera, oltre che nell’incisione, si cimentò con buon successo anche nell’acquerello, nella pittura, nel disegno e nella scultura.

Gli animali fantastici e dove trovarli

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Aspettavo con impazienza il 17 novembre e ho trascinato al cinema mio marito, così eccomi qui a raccontarvi di questo film che mi è piaciuto davvero, grazie anche alla visione in 3D che ha esaltato tanto i momenti più spettacolari quanto i piccoli particolari, cha altrimenti sarebbero sfuggiti.

Questa nuova immersione nel mondo immaginario di Harry Potter si deve alla regia di David Yates, molto apprezzato per i capitoli della saga da lui diretti, e prende l’avvio da uno dei libri di testo della scuola di Hogwarts immaginati dalla fertile fantasia di J.K.Rowling.

Il libro in questione s’intitola appunto Animali fantastici e dove trovarli e ne è autore il mago Newt Scamander (un bravissimo Eddie Redmayne). Harry studia sulla cinquantaduesima ristampa del volume con la prefazione di Albus Silente, rettore della scuola. Lo stesso Harry, cita in alcuni episodi della saga diversi animali che compaiono nel manuale, come per esempio il rinoceronte (I doni della morte) o il temibile ragno Aragog (La camera dei segreti). In tutto si tratta di settantacinque specie  magiche scoperte da Scamander nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo.

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Protagonisti dell’avventura insieme a Scamander troviamo la giovane Porpentina Goldstein (Katherine Waterston), ex Auror, strega talentuosa ma sottovalutata dal MACUSA e quindi giustamente insoddisfatta; Jacob Kowalski (Dan Fogler), pasticciere in cerca di un prestito, un babbano, o meglio un No-Mag come viene definito negli Stati Uniti, che avrà il primo, fatale incontro-scontro con Scamander proprio in banca, con lo scambio delle valigie che darà il via alle avventure e ai guai; il potente mago Percival Graves (Colin Farrell) elegante e carismatico quanto basta per avere un segreto da nascondere, chiamato a vigilare sulla sicurezza del Congresso

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Altri personaggi minori, ma non meno importanti, intrecciano le loro vicende con quelle di Newt , Tina e Jacob: dalla bellissima e un po’ frivola sorella di Tina, Queenie (Alison Sudol), al misterioso orfano Credence Barebone (Ezra Miller), vittima della lucida follia della madre adottiva Mary Lou (Samantha Morton), profetessa invasata e leader invasata di un gruppo estremista, i Secondi Salemiani, (dalla città di Salem famosa per la caccia alle streghe), il cui scopo è dare la caccia a maghi e streghe fino a distruggerli.; dal senatore Henry Shaw Sr.  (Jon Voight) che sostiene la New Salem Philantropic Society a Madame Seraphina Picquery (Carmen Ejogo), presidente del MACUSA.

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La vicenda si svolge settant’anni prima rispetto all’inizio dell’avventura di Harry Potter e ci trasporta in una New York fantastica e reale nel medesimo tempo. Qui approda un giovane mago inglese, Newt Scamader, con la sua valigia magica, allo scopo di partecipare al Magical Congress of the United States of America, indicato per brevità con l’acronimo MACUSA. La vita a New York si presenta subito difficile per il giovane Scamander, proprio a causa degli animali fantastici, custoditi con il loro habitat nella sua valigia, i quali tentano con successo la fuga. Questa fuga, oltre a mettere nei pasticci Scamander con il MACUSA, acuisce i problemi di convivenza tra maghi e no-mag, infatti si ritiene, erroneamente, che uno degli animali fantastici fuggiti abbia causato la morte di Henry Shaw, Jr, brillante e promettente politico, figlio del potente senatore Henry Shaw Sr. Tina, Newt e Jacob, aiutati da Queenie, se la vedono brutta, ma… non vi dico altro per non rubarvi il piacere di lasciarvi coinvolgere in questa avventura che ha visto la costante presenza sul set e la stretta collaborazione di J.K.Rowling, coinvolta mai come in questo caso nella realizzazione di un film legato all’universo potteriano.

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Inizialmente questo film doveva far parte di una trilogia, la cui seconda uscita è stata fissata tra due anni e la terza tra quattro, ma recentemente la stessa Rowling ha dichiarato che i film sarebbero stati cinque e il regista Yates che li avrebbe diretti tutti.

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Qui il trailer italiano.

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Per chiudere, un’indiscrezione che non c’entra nulla con il film, ma che vorrà dire qualcosa per i Whovian… si dice che Eddie Redmayne potrebbe essere il tredicesimo Dottore…

Aggiornamento: ecco qui un video con le easter egg contenute del film… attenzione, SPOILER! 😀

Flavia De Luce

Chi è Flavia De Luce? Non la protagonista di un libro per ragazzi, ma di una serie di gialli scritti dal canadese Alan Bradley. Li sto leggendo in questi mesi e tutto sommato trovo che potrebbero essere adatti anche agli adolescenti, proprio per le intriganti trame gialle, nelle quali la morte non assume mai connotati eccessivamente orrorifici, e soprattutto perché Flavia è una straordinaria undicenne che vive le sue avventure nell’Inghilterra degli anni Cinquanta.

Figlia del colonnello Haviland De Luce, vive con le sorelle maggiori Daphne e Ophelia nell’avita magione di Buckshaw. Uo mo dai modi rigidi e dal temeparamento austero, scevro da qualunque forma di tenerezza nei confronti delle figlie, il colonnello De Luce trascorre le sue giornate perso tra i francobolli, soprattutto per esorcizzare una realtà alla quale non si è ancora abituato a distanza di anni. La perdita dell’amatissima moglie Harriet, donna di grande bellezza e di straordinaria vivacità intellettuale e di carattere, perita misteriosamente in un durante un viaggio fra le nevi del Tibert. Proprio a causa di questa sua morte improvvisa, Harriet non ha fatto testamento (Buckshaw le apparteneva) e il povero colonnello deve anche dibattersi tra i viluppi del fisco, nel disperato tentativo di preservare la magione, che di anno in anno diventa sempre più decadente e bisognosa di interventi di manutenzione e di restauro. Delle tre giovani De Luce, Flavia è quella che conserva meno ricordi della madre, perduta all’età di un anno, ma è una ragazzina dalle mille risorse e la sua vita a Buckshaw trascorre tutto sommato tranquilla, tra i francobolli paterni e le perfidie delle sorelle. Sì, perché Ophelia è una bellissima ragazza innamorata di se stessa, che trascorre davanti allo specchio le ore che non dedica al pianoforte, mentre Daphne vive perennemente immersa nei libri, ma le due non esitano a fare comunella se si tratta di sottoporre la povera Flavia a terribili maltrattamenti fisici e psicologici, come la ripetuta, velenosa affermazione che loro madre non l’amava e era caduta in depressione alla sua nascita o addirittura l’insinuazione che la vera Flavia fosse stata scambiata con lei nella culla. Flavia però non è tipo da darsi facilmente per vinta e grazie a una grande passione, la chimica, spesso riesce a vendicarsi delle sorelle con scherzi che rasentano la crudeltà. In un’ala del palazzo si trova il fornitissimo laboratorio chimico del prozio Tarquinio De Luce, detto Tar, e Flavia ne è divenuta quasi per caso l’unica e felicissima proprietaria, sfruttando un innato talento per la chimica scoperto per caso. La passione di Flavia sono i veleni e la loro composizione e l’intrepida ragazzina si dedica a ogni sorta di esperimenti, spesso sfruttando elementi di uso quotidiano.  Quando Flavia non è rinchiusa nel laboratorio, si dedica alle scorribande nella campagna in sella alla fida bicicletta Gladys, appartenuta a sua madre, oppure si rifugia nella sua Rolls Royce, rimasta chiusa della rimessa dal momento della sua morte. Il colonnello ha una sorella, Felicity, che a dispetto del proprio nome ha la sgradevole caratteristica di rendere la vita impossibile al fratello e alle nipoti nei brevi periodi in cui soggiorna a Buckshaw. Ci sono poi il fido tuttofare Dogger, commilitone del colonnello De Luce e uomo di notevole ingegno, che però spesso cade preda di invincibili crisi legate alle terribili torture  subite in guerra, e l’ineffabile signora Mullet, che vive nel vicino villaggio di Bishop’s Lacey con il marito Alf e si reca tutti i giorni a Buckshaw a cucinare, con effetti devastanti, per la famiglia De Luce.

Il crimine entra casualmente nella vita di Flavia e ne diventa una costante. Un po’ come una sorta di Signora in Giallo in ministura, la nostra Flavia si trova sempre coinvolta in casi criminali.

Il primo della serie s’intitola Flavia De Luce e il delitto del campo di cetrioli, in cui uno sconosciuto arriva alla  tenuta e vi incontra una morte misteriosa e inspiegabile per la polizia, se non fosse per l’acume di Flavia, la quale scopre anche il misterioso legame dello sconosciuto con il passato del padre e risolve il caso. L’ispettore Hewitt e i suoi collaboratori non sono molto entusiasti all’idea di avere tra i piedi una ragazzina, ma devono arrendersi all’evidenza dei fatti. Il cervello di Flavia è una macchina da guerra sulla scena del crimine.

Nel secondo giallo della serie, La morte non è cosa per ragazzine, Flavia è coinvolta della misteriosa morte del famoso burattinaio Rupert Porson, accampatosi a Bishop’s lacey con la compagna Nialla a causa di un guasto all’automezzo. Il reverendo Richardson sposato con l’insopportabile Cinthia, è l’involontaria causa del prematuro decesso del burattinaio, avendolo convinto a tenere uno spettacolo per i parrocchiani, spettacolo durante il quale Porson incontra appunto prematura morte. In apparenza sembrerebbe solo un tragico incidente dietro le quinte, ma dove c’è Flavia nessun particolare passa inosservato e le sue acute deduzioni portano alla luce un’insospettabile verità.

Terzo episodio della serie è Aringhe rosse senza mostarda, nel quale Flavia decide di consultare una zingara durante la fiera locale e viene così a conoscere vaghe notizie su sua madre, ma la zingara è vittima di un’aggressione nel proprio carrozzone e da quel momento in poi Flavia è coinvolta in un carosello di indagini e di colpi di scena che coinvolgono Porcellana, la nipote della zingara, e vedono anche la misteriosa morte di un poco di buono locale, il prepotente Brookie Harewood, coinvolto in loschi traffici.

Ne Il Natale di Flavia De Luce la tenuta di Buckshaw è invasa da una troupe cinematografica, bieca esigenza commerciale alla quale il colonnello De Luce si è piegato a malincuore per tentare di risollevare le sempre più precarie sorti economiche della famiglia. I due famosi divi del momento e protagonisti del film, Phyllis Wyvern e Desmond Dunca, accettano di tenere una recita straordinari di brani da Romeo e Giulietta per il pubblico di Bishop’s Lacey. Una serie di strani incidenti sconvolgono i piani della troupe e naturalmente un macabro assassinio solleverà Flavia dalla tristezza di un natale sottotono e le darà modo di esibire tutto il proprio acume.

A spasso tra le tombe è considerata la più gotica delle storie che hanno Flavia per protagonista. Si preparano i festeggiamenti per il cinquecentesimo anniversario della morte di san Tancredi, al quale è intitolata la parrocchia di Bishop’s Lacey, e Flavia è coinvolta dall’atmosfera febbrile dei preparativi. Ma nel luogo in cui dovrebbero essere conservate le ossa del santo spunta un cadavere, quello del signor Collicut, ex organista di san Tancredi che si era allontanato durante l’estate, senza stupire nessuno a causa del proprio carattere un po’ particolare.

La serie continua con altri due titoli, per ora non ancora tradotti in italiano: The Dead in Their Vaulted Arches e As Chimney Sweepers Come to Dust.

Il successo delle storie di Flavia è senza dubbio dovuto alla sapiente miscela di giallo e di azione poliziesca, ma soprattutto  alla sua peculiarità di romanzo di formazione nel quale la giovane protagonista si scontra quotidianamente con il mondo spesso incomprensibile dei grandi e fa tesoro di ogni esperienza per maturare lentamente, ma costantemente. A far da contraltare alle avventure di Flavia un ricco contorno di personaggi ben delineati che ricorrono o si affacciano di volta in volta nella vicenda del momento e che contribuiscono alla coralità delle storie della vivace ragazzina inglese.

Flavia De Luce vista da Huwman

Bruno, il bambino che imparò a volare

Titolo: Bruno. Il bambino che imparò a volare
Autore: Nadia Terranova
Illustratore: Ofra Amit
Editore: Orecchio Acerbo
Pagine: 40
Età di lettura: dai 10 anni in su
Prezzo: € 16,00

Quando sul web leggevo con piacere un blog dal nome evocativo, Le botteghe color cannella, ignoravo, lo ammetto, chi fossero Bruno Schulz e la blogger che si muoveva con leggerezza dietro quelle parole. Poi la blogger l’ho conosciuta. E lei, Nadia Terranova, adesso mi ha riportata tra i colori tenui di quelle botteghe e a sua volta mi ha fatto conoscere Bruno Schulz attraverso le pagine di questo libro magico, in cui la dolcezza dei disegni di Ofra Amit si sposa perfettamente con la semplice profondità del suo racconto.

Sì, perché non è facile raccontare ai bambini lo sbriciolarsi di una vita, cristalli di zucchero di un sogno che un bambino dalla testa grossa, e dal cuore e dalla mente altrettanto grandi, sogna quotidianamente grazie a Jakob, padre amatissimo il quale custodisce un grande segreto di verità: “La materia pullulava di vita, bisognava solo stanarla e forgiarla. Jakob si mischiava e si impastava con il mondo per guardare tutto con occhi nuovi e diventare ogni volta un po’ meno se stesso.” È con amore che “Bruno spiava le instancabili gesta di suo padre e si chiedeva come fare a imitarlo.”

A imitare un padre così straordinario nella consapevolezza dei propri limiti. Non gli sembra vero che quel padre amato, in apparenza solido commerciante, immerso nelle stoffe colorate della sua bottega dal parquet color cannella in una strada di Drohobycz, possa con tale e tanta facilità lasciarsi distrarre da un dettaglio, da un dubbio, da una domanda improvvisa, e abbandonare la “noia quotidiana.”

E poi un giorno i delicati cristalli di zucchero di quella vita tra sogno e realtà si sbriciolano. Jakob non fa più ritorno e vanamente il piccolo Bruno dalla grossa testa lo cerca con amorevole e testarda insistenza. Il dolore è troppo grande, la malinconia invincibile una ferita troppo profonda, e Bruno deve trovare una via d’uscita. Jakob e il suo mondo di segreta verità rinascono sotto le sue dita grazie a una matita e a una manciata di fogli bianchi.  Bruno, diventato grande, sa come parlare ai bambini e ai ragazzi per rendere loro sopportabile il dolore per una perdita o per una mancanza, lui che sente ogni istante la perdita e la mancanza di Jakob, amatissimo padre. “Poiché aveva imparato a vivere con una testa abnorme, Bruno conosceva le parole giuste per trasformare la diversità in opportunità.”


Le sparizioni a Drohobycz aumentano di giorno in giorno, ma non sono le fantastiche sparizioni di Jakob, queste sparizioni sanno di buio e di dolore, di paura e di sospetto. Anche se alla diversità Bruno è abituato, ora la diversità ha un nome: ebreo. E vuol dire desolazione, vergogna, isolamento. Sempre più perplesso, Bruno si domanda che cosa avrebbe inventato Jakob, amatissimo padre, per “combattere il deserto.” Ma non avrà modo di scoprirlo. Perché Jakob non torna. Perché un ufficiale tedesco usa il modo più freddo e più inaccettabile per impedire a Bruno di farlo. NIENTE. NULLA. IL VUOTO. Eppure Bruno non è svanito e, magicamente come era scomparso, ricompare  sotto l’intonaco di una stanza, sulle pareti di quella che era stata la camera dei bambini di Felix Landau, ufficiale delle SS che tirava i fili della sua vita di povero burattino tra le mani di un piccolo gerarca nazista.


Si snoda così tra queste pagine dai caldi colori l’infanzia di un uomo geniale, in un racconto che sa parlare al cuore dei lettori di ogni età con la voce lieve della poesia, anche e soprattutto se parla della diversità e dell’orrore di una pagina di storia che dobbiamo ricordare ogni giorno e non solo il 27 gennaio di ogni anno.
In chiusura del libro, dopo l’ovattato percorso della fantasia tra le parole e le immagini, l’autrice traccia per i suoi lettori un sentiero di realtà che conduce all’essenza di Bruno Schulz uomo e artista.
Il riuscito connubio di questo libro è la prova, caso mai ve ne fosse bisogno, che non si può e non si deve nascondere la realtà ai bambini. Impedire loro di affrontarla è tanto ingiusto quanto pericoloso, ben vengano dunque gli strumenti adatti, come questo libro.
Ci vuole un animo bambino per saper parlare ai bambini, offrire loro ciò che un adulto spesso dimentica o tralascia o nasconde, per pigrizia, per paura, per insicurezza. E dobbiamo augurarci che i piccoli lettori incontrino sul loro percorso di crescita tanti adulti dall’orecchio acerbo.


Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo
vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.
Non era tanto giovane, anzi era maturato,
tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.
Cambiai subito posto per essergli vicino
e poter osservare il fenomeno per benino.
“Signore, – gli dissi – dunque lei ha una certa età:
di quell’orecchio verde che cosa se ne fa” ?
Rispose gentilmente: ” Dica pure che son vecchio.
Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.
E’ un orecchio bambino, mi serve per capire
le cose che i grandi non stanno mai a sentire:
ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,
capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose.”
Così disse il signore con un orecchio acerbo
quel giorno sul diretto Capranica – Viterbo.
(Gianni Rodari)

Maturare verso l’infanzia. Questa soltanto sarebbe l’autentica maturità“. (Bruno Schulz)

Non c’è pace per Pippi

Da Il Venerdì di Repubblica del 2 dicembre

Miti sotto accusa

Pippi Calzelunghe rischia il rogo: “Fiaba razzista”

“Sono libri pieni di di stereotipi colonialisti e razzisti”. Per questo motivo, in un’intervista rilasciata a un quotidiano locale tedesco, la signora Eske Wollrad, teologa evangelica, ha chiesto che le avventure di Pippi Calzelunghe vengano sconsigliate nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche a chi non ha ancora compiuto sedici anni. Wollrad sostiene che i bambini di colore, presenti in alcuni volumi della serie composta negli anni Quaranta, vengono ritratti “senza il rispetto che meritano”. Con “sgradevoli effetti diseducativi in un’epoca di multiculturalismo e tolleranza” ha aggiunto. I rilievi della teologa hanno suscitato la sdegnata reazione di Karin Nyman, figlia della scrittrice Astrid Lindgren che, interpellata dal quotidiano britannico Guardian, ha accusato Eske Wollrad di superficialità. “Penso che non abbia letto con sufficiente attenzione le opere di mia madre, altrimenti si sarebbe accorta che per Pippi i bambini sono tutti uguali”. (r.bert.)

Non c’è dunque pace per questo personaggio tanto amato da generazioni di lettori. Evidentemente fare scandalo è il destino di Pippi perché quando le sue avventure apparvero per la prima volta, in Svezia si scatenò l’ira dei pedagogisti e dei genitori che vedevano nel personaggio e nelle avventure un profondo motivo motivo di offesa ai bambini; nel frattempo il manoscritto era stato già rifiutato dal principale editore svedese e subì le contestazioni persino dei traduttori. Indubbiamente Pippi appariva troppo trasgressiva in una società rigida e puritana e se molta parte di ciò che c’era di repressivo nella pedagogia è stato finalmente superato, lo si deve anche alla forza dirompente di questi libri. Che cosa sconvolge e turba tanto in Pippi? Dice Donatella Ziliotto: “In un certo senso è il contrario di Alice, bambina logica e beneducata in un mondo assurdo quanto Pippi è inaspettata e assurda in un mondo che segue una logica tradizionale“. La ribellione all’autorità di Pippi Calzelunghe non è fine a se stessa ma è volta a sovvertire l’ordine costituito in ogni situazione in cui tale autorità si riveli  autoritarismo e sia solo una gabbia, un viluppo, un freno alla fantasia e alla sensibilità dei bambini. Il suo personaggio fu letto anche in chiave di rivolta femminista, ma è un’interpretazione di parte di una figura femminile che incarna doti di sicurezza, di umanità, di bontà e di vivacità propri di tutti gli spiriti liberi.

Pippi Calzelunghe

Il generale Stivalone

stivalonecopertinaTitolo: Il generale Stivalone
Testo e illustrazioni: Leo Longanesi
Pagine: 64
Editore: Longanesi
Prezzo: euro 24,00

Di Leo Longanesi, nato a Bagnacavallo (RA) il 30 agosto 1905 e  morto a Milano il 27 settembre 1957, si danno molte definizioni:  editore, disegnatore, giornalista, elzevirista, umorista, scrittore, o più semplicemente lo si definisce con un unico termine che vuole comprendere un po’ tutto e avrebbe suscitato la fine ironia dello stesso Longanes: intellettuale. Non è questa la sede più adatta per fare questioni su una o più definizioni perché a me interessa proporvi un testo che la casa editrice omonima ha pubblicato in occasione del cinquantenario della morte di Leo Longanesi.  Il generale Stivalone.Più disegni che parole, ventidue tavole a colori che riproducono gli acquerelli realizzati dall’autore e una storia più breve dell’introduzione scritta da Paola Mastrocola. Non è una storia illustrata, ma si tratta di illustrazioni con didascalie, insomma una storia scritta più per disegni che a parole.

Perché questa scelta così particolare? Paola Mastrocola ne da una sua interpretazione nell’introduzione:
Illustratori, grafici, pubblicitari, artisti normalmente parlano attraverso il disegno, certo, è il loro mestiere. Ma scrivere per disegni è un’altra cosa. Vuol dire che una storia ti nasce prima attraverso le immagini, e poi attraverso le parole. Narrare per disegni è forse all’origine del narrare (così è nella storia dell’umanità, a partire dai bisonti graffiti sulla roccia!) , è la sua vera nascita: tutto parte da un’immagine, una sola, che è la prima e determina le altre ovvero lo svolgersi della storia. Ma la storia non c’è ancora quando ci arriva la prima immagine, è contenuta in essa, ma è raggomitolata su se stessa. Bisogna sdipanarla (il cosiddetto filo della narrazione…?“.

Tutto nasce da un semplice stivale. Vi sembra troppo poco, materia assai umile? Può darsi, ma Leo Longanesi ne ricava una storia surreale che sboccia proprio dai tratti così caratteristici della sua mano. Comincia con una dimenticanza che porta a un incidente. Il generale ha dimenticato il suo stivale sul prato davanti a casa e nel tentativo di allontanare l’uccello che vi si è posato sopra, spara.IMGP0035IMGP0037Ma ottiene il solo effetto di danneggiare seriamente il proprio stivale, lasciando che l’uccello voli via indisturbato. A che cosa pensa subito il generale? a riprendersi il necessario stivale per ripararlo, niente di più semplice.

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Però la Storia dispone diversamente della storia: un lanciere al galoppo viene a cercare il generale per avvisarlo che è scoppiata la guerra e il generale non ha dubbi: calza il malconcio stivale e parte per la guerra. Il dovere innanzitutto.

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Il nemico non si vede e il generale si organizza per l’urgente riparazione.

IMGP0041La semplicità e il quotidiano irrompono continuamente. Ma di nuovo la Storia incalza. Dal cielo fioccano talmente tante bombe che il generale è costretto a fuggire e abbandonare lo stivale nel prato,  combattendo con in mostra un calzino a righe bianche e rosse dal tallone e dalla punta in tinta unita.

IMGP0042IMGP0043Fa male combattare con un piede scalzo e il generale viene catturato e costretto alla resa, cedendo persino la gloriosa spada al generale nemico.

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Finisce qui la prima parte della vicenda e lasciamo a malincuore il baffuto generale in balia del nemico. Lo ritroviamo alcuni anni dopo, restituito alla libertà, ma sempre privo della spada. “Allora il generale, ch’era uomo di idee moderne, -ci dice l’autore- ne comprò una nuova. Egli la mise sul suo letto e vi dormì sotto, per molti mesi…finché un giorno… e qui vostra madre continua…

IMGP0045Eh,sì, finisce così. La favola rimane incompiuta, con un garbato invito ai lettori, grandi e piccoli, a mettere in moto la propria fantasia, abbandonandosi al piacere della lettura. In realtà l’autore ci offre molti elementi di compiutezza. Dietro lo spunto apparentemente leggero ci sono i valori del dovere e del rispetto degli impegni; il generale, pur di partire per la guerra, calza il vecchio stivale rovinato.C’è una stoccata alla modernità nel gesto disinvolto con cui il generale compra una spada nuova dopo la prigionia, per sostituire quella consegnata al nemico.E poi ci sono la grafia e i disegni inconfondibili dell’autore.

La critica suggerisce che questa storia sia incompiuta perché l’autore aveva concluso che già nel momento in cui scriveva l’avventura del generale Stivalone la società fosse cambiata e lui sentisse di vestire i panni di un novello Don Chisciotte il cui ideale costituiva una battaglia persa in partenza, ma degna di essere combattuta fino in fondo anche se solo con carta, penna e acquerelli.

Scrive ancora Paola Mastrocola:
Oggi chi osa ancora scrivere per disegni? Sì, un libro per bambini, d’accordo: relegato per bene nel genere ‘libro per bambini’ e lì imprigionato. Ma Longanesi non scriveva per bambini, il generale Stivalone è destinato a tutti, credo che Longanesi non si ponesse nemmeno il problema dell’età dei suoi lettori.”

Di questa opera esiste anche una versione teatrale, realizzata dalla compagnia teatrale di Cesena La Furia dell’Albana; lo spettacolo è scritto dal regista, Federico Fiumi, e dall’interprete, Francesco Selvi.

Ada Corishant

Poteva avere quattordici anni. La sua taglia era graziosa e di forme superbamente eleganti. Aveva i lineamenti d’una purezza antica, animati dalla scintillante espressione della donna anglo-indiana.
La pelle era rosea, d’una morbidezza impareggiabile, gli occhi grandi neri e scintillanti come diamanti, un naso diritto che nulla aveva d’indiano, labbra sottili, coralline, schiuse ad un melanconico sorriso che lasciava scorgere due file di denti d’abbagliante bianchezza, una opulenta capigliatura d’un castano cupo, fuliginoso, separata sulla fronte da un mazzetto di grosse perle, era raccolta in nodi ed intrecciata con fiori di sciambaga dal soave profumo.
Questa è la delicata descrizione che Emilio Salgari ci lascia per tratteggiare una delle sue eroine, la piccola Ada Corishant, di nazionalità inglese, che ha perduto la madre e vive con il padre, capitano di stanza in India. Il suo destino è segnato da un tragico fatto, il rapimento da parte della crudele e sanguinaria setta dei Thugs che fa di lei la Vergine della Pagoda, consacrata al culto della mostruosa dea Kalì, cresciuta nel più totale isolamento e testimone orripilata di truculenti riti propiziatori in onore della dea.
La incontriamo nel libro I misteri della giungla nera, in cui fa perdutamente innamorare di sé il coraggioso Tremal Naik, il Cacciatore di serpenti dalla corporatura fuori del comune che vive con il fedele servo Kammamuri e la tigre Darma in una capanna vicino al fiume Gange.

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Ada Corishant (il disegno viene da questo ricco sito dedicato a Emilio Salgari)

La sua storia d’amore con il possente Tremal Naik è contrastata dal perfido Suyodhana, capo dei Thugs, mentre il povero Tremal Naik, dopo aver rischiato di uccidere proprio il padre della fanciulla che ama,  viene arrestato e deportato come Thug.  Dopo questa ulteriore, terribile prova, la mente della povera Ada vacilla e il fedele Kammamuri ora deve vegliare su di lei. Ma sulla sua strada passa la Tigre della Malesia in persona, che ha un ottimo motivo per interessarsi di lei. La piccola Ada è la cugina della Perla di Labuan, l’adorata moglie Marianna che egli continua a rimpiangere. Ada è il suo ritratto, solo che è tanto bruna quanto Marianna era bionda.
Per Sandokan diventa una questione d’onore restituire la salute e la felicità alla giovane Ada, preoccupandosi prima di tutto di riguadagnare alla libertà l’innamorato Tremal Naik.
Con un’accurata messinscena, Sandokan fa rivivere alla giovane i momenti di terrore del dramma nella pagoda. Il forte shock sortisce l’effetto sperato e la giovane Ada, riacquistata la ragione, può unirsi in matrimonio all’amato e mai dimenticato Tremal Naik, non senza però aver superato altre traversie.
Questo libro apre il ciclo detto della Malesia, composto in tutto di nove storie.
Nel 1991 è stato realizzato il film I misteri della giungla nera, ricavato dall’omonima serie televisiva, che vedeva curiosamente Kabir Bedi, il Sandokan dello sceneggiato italo-franco-tedesco del 1974, nel ruolo di Kammamuri.

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