Si prende un ragazzo, si prende un libro, li si mettono entrambi a tavolino e si proibisce che il terzetto si divida prima d’una certa ora. A maggiore garanzia che l’operazione riesca, s’annunzia al ragazzo che al termine del tempo prescritto dovrà riassumere a voce le pagine lette.
Le applicazioni scolastiche sono ancora più semplici. Non c’è che da dire "Leggete da qui fin qui" e l’ordine sarà senz’altro eseguito, anche con la complicità dei genitori.
Sia dall’uno che dall’altro esperimento il ragazzo ricaverà per suo conto una lezione che non dimenticherà: e cioè, che leggere è una di quelle cose che bisogna fare perché i grandi la comandano, uno di quei mali inevitabili, collegati con l’esercizio dell’autorità da parte degli adulti. Ma appena saremo grandi anche noi, appena saremo adulti a nostra volta, appena saremo liberi…
A giudicare a posteriori, cioè dal numero degli adulti legalmente alfabetizzati che, una volta usciti dalla minore età, non leggono più un rigo, questo dev’essere, di tutti i sistemi, il più diffuso.
Da qualche centinaio d’anni i pedagogisti vanno ripetendo che come non si può ordinare a un albero di fiorire, se non è la sua stagione, se non sono state create le condizioni adatte, così non si può ottenere alcunché dai bambini per la strada larga dell’obbligo, ma bisogna per forza cercare strade meno agevoli, sentieri meno comodi. Ma i pedagogisti predicano, e il mondo va per la sua strada. Il disprezzo per la teoria è antico quanto il proverbio secondo il quale "val più la pratica della grammatica".
Parole come "disciplina", "severità" (che è la caricatura della fermezza) e simili, hanno corso tuttora come moneta buona, nonostante la progressiva svalutazione. La scienza del "creare le condizioni" perché la pianta umana voglia ciò che deve, e accetti, anzi desideri, l’innesto della cultura, e abbia bisogno del meglio, e dia insomma tutti i fiori e i frutti che può dare, è -nella pratica- ancora ai primi passi.
Una tecnica si può imparare a scapaccioni: così la tecnica della lettura. Ma l’amore per la lettura non è una tecnica, è qualcosa di assai più interiore e legato alla vita, e a scapaccioni (veri o metaforici) non s’impara.
(Gianni Rodari, Libri d’oggi per ragazzi d’oggi, 1967)
La lettura dell’ultimo dei nove punti proposti da Gianni Rodari, mi suscita una riflessione e una domanda. Andiamo con ordine. La riflessione.
Torniamo con la mente all’infanzia dei nostri figli e nipoti, all’incanto di tante ore trascorse con loro a raccontare fiabe o a leggere ad alta voce un libro. Erano momenti magici, nei quali spingevamo la loro fantasia attraverso le verdi praterie del Far West, lungo le rotte dei galeoni dei pirati, nei boschi incantati popolati da fate e folletti, negli immensi spazi siderali. E la loro fantasia non era mai sazia, le loro testoline ci chiedevano sempre nuove avventure, i loro cuoricini reclamavano la suspense del racconto pauroso che li avrebbe riportati inevitabilmente alla rassicurante realtà della nostra presenza. Che bello!
La domanda. Che cosa è successo dopo?
Inspiegabilmente e improvvisamente, raggiunte l’età della ragione e il possesso degli strumenti tecnici per dedicarsi autonomamente alla lettura, la passione cade. La prateria diventa un luogo arido, la vela maestra del galeone si affloscia per mancanza di vento, il bosco appassisce e intristisce, lo spazio sembra così buio e vuoto.
Come è avvenuto l’impercettibile passaggio dall’amore all’apatia? Forse troppe distrazioni o troppi impegni, allora bisogna por subito rimedio e qui compare sulla scena l’odioso imperativo.
LEGGI!
E’ una parola. Come dice Daniel Pennac "Il verbo leggere non sopporta l’imperativo, avversione che condivide con alcuni altri verbi: il verbo amare… il verbo sognare. Naturalmente si può sempre provare. Dai, foza: Amami! Sogna! Leggi! Leggi! Ma insomma, leggi, diamine, ti ordino di leggere! Sali in camera tua e leggi! Risultato? Niente. Si è addormentato sul libro." (Come un romanzo, Feltrinelli, 1992)
Allora facciamoci furbi, riprendiamo in mano i libri, creiamo le occasioni per leggere ad alta voce, avviluppiamoli nel fascino di una trama, irretiamoli con la presentazioni di affascinanti personaggi, gettiamo con noncuranza i semi per una nuova fioritura d’interesse e vedremo figli e nipoti tornare con fare guardingo verso la biblioteca scolastica o di casa, verso la libreria del quartiere. Ma attenzione a non menar vanto, sforziamoci di essere discreti, offriamo appoggio e ascolto senza cedere alla tentazione del trionfalismo, della soddisfazione per l’esperimento riuscito.
Perché l’esperimento funziona, ve lo garantisco, anche con gli adulti. Provate a ripensare al successo che ebbe diversi anni fa la trasmissione "Pickwick", condotta da Alessandro Baricco e Giovanna Zucconi, o ai numerosissimi gruppi di lettura che si sono costituiti in varie città. Io ne conosco uno di Roma, che si definisce "un pericoloso gruppo di provocatori letterari" e ha capito una cosa importante:
Sarà anche vero che molta gente non legge,. Ma di sicuro c’è dell’altra gente che se continua a fare bene le solite cose, utili per carità, il lavoro e tutto il resto, è anche perché sa che poi a un certo punto si può tuffare nei libri, sa che lì dentro, nei libri, ci trova stanze parecchio più grandi di quelle solite dove tocca stare, e finestre parecchio più panoramiche. Se uno si affaccia, dopo gli viene voglia di raccontare quello che ha visto. E coi libri è facile…basta leggerli ad alta voce…
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