Abbandonare un gatto. Ricordi di mio padre

Haruki Murakami è uno dei miei autori contemporanei preferiti e quando mi sono imbattuta in un suo articolo, pubblicato sul numero del 7 ottobre scorso del New Yorker, l’ho letto con grande interesse e poi ho pensato di proporvene alcuni stralci perché Murakami parla dei suoi ricordi di bambino, legati ai gatti e al padre.

Se volete leggere l’articolo integrale in inglese, andate qui. È stato tradotto in inglese dal giapponese da Philip Gabriel.

Certo, ho un bel po’ di ricordi di mio padre. È naturale, considerando che abbiamo vissuto sotto lo stesso tetto della nostra non propriamente spaziosa casa dal momento in cui nacqui fino a quando la lasciai a diciotto anni. E, come nel caso della maggior parte dei bambini e dei genitori, immagino che alcuni dei miei ricordi di mio padre siano felici, altri non tanto. Ma i ricordi che rimangono più vividi nella mia mente ora non rientrano in nessuna categoria; coinvolgono eventi più ordinari.
Questo, ad esempio.
Quando vivevamo a Shukugawa (una parte della città di Nishinomiya, nella prefettura di Hyogo), un giorno andammo in spiaggia per sbarazzarci di un gatto Non un gattino, ma una vecchia femmina. Non rammento perché avessimo bisogno di liberarcene. La casa in cui vivevamo era una casa unifamiliare con giardino e stanze spaziose per un gatto. Forse era una randagia che avevamo preso quando era gravida e i miei genitori sentivano che non potevano più prendersene cura. La mia memoria non è chiara su questo punto. Liberarsi dei gatti allora era un evento comune, non qualcosa per cui qualcuno ti avrebbe criticato. L’idea di sterilizzare i gatti non era mai passata per il cervello a nessuno . All’epoca ero in una delle classi inferiori della scuola elementare, credo, quindi probabilmente era pressappoco il 1955, o poco più tardi. Vicino a casa nostra c’erano le rovine di una banca che era statoa bombardato da aerei americani, una delle poche cicatrici ancora visibili della guerra.
Mio padre e io partimmo quel pomeriggio d’estate per abbandonare ila gatta sulla riva. Lui pedalava sulla bicicletta, mentre io sedevo dietro reggendo una scatola con dentro la gatta. Percorremmo il fiume Shukugawa, arrivammo sulla spiaggia di Koroen, posammo la scatola tra alcuni alberi e, senza guardare indietro, tornammo a casa. La spiaggia deve essere stata a circa due chilometri da casa nostra.
A casa, scendemmo dalla bicicletta – parlando di come ci dispiacesse per la gatta, ma cosa avremmo potuto fare? – e quando aprimmo la porta d’ingresso la gatta che avevamo appena abbandonato era lì, a salutarci con un miagolio amichevole, la coda ritta. Era arrivata a casa prima di noi. Per tutta la vita, non riuscii a capire come avesse fatto. Dopotutto noi eravamo andati in bicicletta. Anche mio padre era perplesso. Rimanemmo lì per un po’, completamente senza parole. Lentamente, lo sguardo di vuoto stupore di mio padre si trasformò in uno sguardo di ammirazione e, infine, in un’espressione di sollievo. E la gatta tornò a essere il nostro animale domestico.
Abbiamo sempre avuto gatti a casa e ci piacevano. Non avevo fratelli o sorelle e i gatti e i libri furono i miei migliori amici mentre crescevo. Mi piaceva sedermi sulla veranda con un gatto, prendendo il sole. Quindi perché avevamo dovuto portare quella gatta sulla spiaggia e abbandonarla? Perché non avevo protestato? Queste domande – insieme con quella di come la gatta fosse arrivata a casa prima di noi – sono ancora senza risposta.

 Comincia così l’articolo di Murakami, portandoci nel bel mezzo di questo suo ricordo infantile associato alla gatta di casa e a suo padre. Padre del quale lo scrittore giapponese prosegue a narrarci, ricordandolo profondamente immerso nella preghiera ogni mattina davanti al butsudan familiare: Non era un santuario buddista qualsiasi, in verità, ma una piccola teca cilindrica di vetro con all’interno una statua di bodhisattva splendidamente scolpita. Perché mio padre recitava i sutra ogni mattina davanti a quella teca di vetro, invece che davanti a un normale butsudan ? Questo è un’altra delle domande di quelle senza risposta nella mia lista.

Murakami non aveva molta confidenza con il padre e, come vedremo nel prosieguo dell’articolo, il rapporto tra loro si fece sempre più freddo fino a deteriorarsi completamente. Tuttavia, vincendo la timidezza, il piccolo Haruki chiese al padre per chi pregasse così intensamente ogni mattina: Una volta, da bambino, gli chiesi per chi stesse pregando. E lui rispose che era per i morti in guerra. I suoi compagni soldati giapponesi che erano morti, così come i cinesi che erano stati i loro nemici. Non scese nei particolari e io non gli feci pressione. Sospetto che se avessi tentato, si sarebbe aperto di più. Ma non lo feci. Dovette esserci stato qualcosa in me che mi impedì di insistere sull’argomento.

Inizia a questo punto una lunga digressione sul passato del padre. Il nonno paterno, Benshiki Murakami, era nato in una famiglia di agricoltori nella prefettura di Aichi.  Come era usanza con i figli più piccoli, mio ​​nonno fu mandato in un tempio vicino per essere istruito come sacerdote. Era un discreto studente e, dopo l’apprendistato in vari templi, fu stato nominato sacerdote capo del tempio Anyoji a Kyoto. Questo tempio aveva quattro o cinquecento famiglie nella parrocchia, quindi fu piuttosto una promozione per lui. Il nonno ebbe sei figli, tutti maschi, e quando morì improvvisamente all’età di settant’anni, investito da un treno, il tragico avvenimento mise i figli nella condizione di dover decidere chi di loro avrebbe preso il suo posto al tempio.

La notte in cui la nostra famiglia seppe che mio nonno era morto, rammento che mio padre si preparò rapidamente per andare a Kyoto, e che mia madre piangeva, si aggrappava a lui, supplicando: “Qualunque cosa tu faccia, non acconsentire a subentrargli nel tempio”. All’epoca avevo solo nove anni, ma questa immagine è impressa nel mio cervello, come una scena memorabile di un film in bianco e nero. Mio padre era inespressivo, annuiva silenziosamente. Penso che avesse già deciso. Potevo percepirlo.

Non era una decisione facile da prendere, tutti e sei i figli di Benshiki avevano la preparazione necessaria per subentrargli nella carica, ma avevano anche una famiglia e un lavoro e sapevano benissimo che si sarebbe trattato di un incarico gravoso anche per la moglie del sacerdote, che avrebbe vissuto accanto alla vedova di Benshiki, una persona rigorosa e austera; qualsiasi moglie avrebbe avuto difficoltà a prestare servizio come consorte del sacerdote capo con lei ancora lì. Mia madre era la figlia maggiore di una famiglia di mercanti stabilitasi a Senba, a Osaka. Era una donna alla moda, per niente adatta a essere la moglie del sacerdote capo a Kyoto. Quindi non c’era da meravigliarsi che si aggrappasse a mio padre, in lacrime, implorandolo di non subentrare nel tempio. Almeno dal mio punto di vista di figlio, mio ​​padre sembrava essere una persona onesta e responsabile. Non aveva ereditato la disposizione spensierata di suo padre (era più un tipo nervoso), ma i suoi modi bonari e il suo modo di parlare mettevano a proprio agio le altre persone. Aveva anche una fede sincera. Probabilmente sarebbe stato un buon sacerdote, e penso che lo sapesse. La mia ipotesi è che, se fosse stato scapolo, non avrebbe resistito molto all’idea. Ma aveva qualcosa su cui non poteva scendere a compromessi: la sua piccola famiglia.

Infine fu il figlio maggiore Shimei a lasciare il proprio lavoro all’ufficio delle imposte e a prendere il posto di suo padre come sacerdote capo del tempio di Anyoji. Il successore fu suo figlio Junichi, cugino di Haruki, il quale sostenne che il padre avesse accettato l’incarico sentendosi in obbligo in quanto figlio maggiore.

Murakami riprende la narrazione dell’infanzia e della gioventù paterni e ci racconta della profonda ferita che secondo lui dovette imprimersi nell’animo paterno quando fu mandato da ragazzo a fare l’apprendista in un tempio nella zona di Nara e poi fece ritorno a casa, in apparenza per via del clima che non gli si confaceva, ma più probabilmente perché non riusciva ad adattarsi.

Ricordo ora l’espressione sul volto di mio padre – inizialmente sorpresa, poi impressionata, poi sollevata – quando quella gatta che presumibilmente avevamo abbandonato ci ebbe preceduti a casa. Non ho mai provato niente del genere. Sono stato educato – abbastanza amorevolmente, direi – come l’unico figlio di una famiglia qualsiasi. Quindi non riesco a capire, a livello pratico o emotivo, che genere di cicatrici psicologiche possono derivare quando un bambino viene abbandonato dai suoi genitori. Posso solo immaginarlo a un livello superficiale.

Segue poi il racconto del periodo dell’arruolamento di suo padre e delle sue vicissitudini, compresa la passione per gli haiku, nata nel periodo in cui frequentava la scuola di Seizan e sviluppata sotto le armi. Murakami racconta anche di come il padre gli abbia parlato della guerra solo una volta, raccontandogli di come la sua unità avesse dovuto giustiziare mediante decapitazione con la spada un prigioniero di guerra cinese, episodio che impressionò profondamente il giovanissimo Haruki e gli fece intuire quanto quel fardello avesse pesato su suo padre e lo avesse così inconsciamente indotto a trasferirlo sul figlio.

Mio padre ha sempre adorato la letteratura e, dopo essere diventato insegnante, ha trascorso gran parte del suo tempo a leggere. La nostra casa era piena di libri. Questo potrebbe avermi influenzato durante l’adolescenza, quando ho sviluppato la mia personale passione per la lettura. Mio padre si laureò con lode alla scuola di Seizan e nel marzo 1941 entrò nel dipartimento di letteratura dell’Università Imperiale di Kyoto. Non può essere stato facile superare l’esame di ammissione a una scuola superiore come l’Università Imperiale di Kyoto dopo aver ricevuto un’istruzione buddista come sacerdote. Mia madre mi diceva spesso: “Tuo padre è molto brillante.” Quanto fosse davvero brillante non ne ho idea. Francamente, non è una domanda che mi interessa molto. Per qualcuno nel mio modo di lavorare, l’intelligenza è meno importante di un’intuizione acuta. Comunque sia, resta il fatto che mio padre ha sempre avuto ottimi voti a scuola. In confronto a lui, non ho mai avuto molto interesse per gli studi; i miei voti furono poco brillanti dall’inizio alla fine. Sono il tipo che persegue avidamente le cose che mi interessano ma non posso preoccuparmi di nient’altro. Questo era vero per me quando ero uno studente ed è vero ancora adesso.

Murakami riconosce che il padre fu molto deluso dalla sua scarsa propensione allo studio, probabilmente facendo il paragone tra le difficoltà che egli stesso aveva dovuto affrontare e la mancanza di intralci e di preoccupazione che invece caratterizzava la vita del figlio.

Ma non potevo essere all’altezza delle aspettative di mio padre. Non avrei mai potuto forzarmi a studiare come voleva lui. Ho trovato molto tediose la maggior parte delle lezioni a scuola, il sistema scolastico eccessivamente uniforme e repressivo. Ciò ha portato mio padre a provare uno sgomento persistente e me a provare un disagio persistente (e una certa rabbia inconscia). Quando ho debuttato come romanziere, a trent’anni, mio ​​padre era davvero contento, ma a quel punto il nostro rapporto era diventato distante e freddo.

Murakami ammette la sensazione di aver sconvolto e deluso il padre con il proprio atteggiamento ma, all’epoca, essere incollato alla mia scrivania per finire i compiti e ottenendo voti migliori nei test aveva molto meno fascino del leggere i  libri che mi piacevano, dell’ascoltare la musica che mi piaceva, del fare sport o del giocare a Mah-jongg con gli amici e dell’andare ad appuntamenti con le ragazze.

Illustrando le ultime vicende della vita militare di suo padre, Murakami giunge alla conclusione che a salvargli la vita fosse stato un ufficiale che lo congedò, ritenendolo più utile al servizio del paese con gli studi che come soldato, ma non gli pare una ragione sufficiente e sospetta che altri fattori abbiano influenzato e prodotto tale evento. La realtà fu che suo padre venne congedato otto giorni prima dell’attacco a Pearl Harbor ed ebbe salva la vita, cosa che lo angustiò per il resto dei suoi giorni a causa del pensiero di tanti compagni morti combattendo.

Subito dopo che mio padre fu congedato dal servizio, la Seconda Guerra Mondiale scoppiò nel Pacifico. Nel corso della guerra, la 16ma divisione e la 53ma divisione furono sostanzialmente spazzate via. Se mio padre non fosse stato congedato, se fosse stato mandato con una delle sue precedenti unità, sarebbe quasi certamente morto sul campo di battaglia, e quindi, ovviamente, io ora non sarei vivo.  Potreste definirlo fortunato, ma avere salva la vita mentre gli ex compagni la persero, divenne una fonte di grande dolore e di angoscia. Ora capisco ancora di più perché chiudeva gli occhi e recitava devotamente i sutra ogni mattina della sua vita.

La nascita di Haruki nel gennaio del 1949 indusse il padre ad abbandonare gli studi e a diventare insegnante di giapponese; anche la moglie era un’insegnate, che rinunciò alla professione quando si sposarono.

Secondo mia madre, mio ​​padre in gioventù aveva vissuto una vita piuttosto libera. Le sue esperienze in tempo di guerra allora erano recenti e la frustrazione per il fatto che la vita non fosse andata come voleva a volte rendeva le cose difficili. Beveva molto e ogni tanto picchiava i suoi studenti. Ma quando crebbe, si ammorbidì in modo significativo. Si sentiva depresso e scombussolato a volte, e beveva troppo (qualcosa di cui mia madre si lamentava spesso), ma non ricordo nessuna esperienza sgradevole in casa nostra.

Murakami ricorda con sorpresa e con piacere quanti ex studenti vennero a rendere omaggio a suo padre quando morì e ritiene che anche la madre fosse stata un’ottima insegnante, riconoscendo invece di non essere tagliato per la professione dei genitori. Crescendo, i dissidi tra padre e figlio si fecero più marcati e quando Haruki divenne uno scrittore a tempo pieno, il rapporto si era fatto così complesso che alla fine non si videro più, riprendendo a parlarsi poco prima che l’anziano genitore morisse e sentendo rinsaldarsi un po’ il loro legame.

Anche adesso posso rivivere la perplessità condivisa di quel giorno d’estate quando andammo insieme sulla sua bici fino alla spiaggia di Koroen per abbandonare una gatta a strisce, una gatta che ebbe la meglio su di noi. Rammento il suono delle onde, il profumo del vento che fischiava attraverso i pini svettanti. È l’accumulo di cose insignificanti come questa che mi ha reso la persona che sono.
Ho ancora un ricordo d’infanzia che coinvolge un gatto. Ho incluso questo episodio in uno dei miei romanzi, ma vorrei affrontarlo di nuovo qui, come qualcosa che è realmente accaduto.
Avevamo un gattino bianco. Non rammento come l’avessimo avuto perché allora avevamo sempre gatti che andavano e venivano in casa nostra. Ma ricordo quanto fosse bella la pelliccia di questo gattino, quanto fosse graziosa.
Una sera, mentre sedevo sotto il portico, questo gatto improvvisamente corse difilato verso il pino alto e bellissimo nel nostro giardino. Quasi volesse mostrarmi quanto fosse coraggioso e agile. Non riuscivo a credere quanto agilmente si arrampicasse sul tronco e scomparisse tra rami in alto. Dopo un po’, il gattino iniziò a miagolare pietosamente, come se stesse chiedendo aiuto. Non aveva avuto problemi a salire così in alto, ma sembrava aver paura di scendere di nuovo.
Ero ai piedi dell’albero a guardare in alto, ma non riuscivo a vedere il gatto. Potevo solo sentire il suo flebile pianto. Andai a chiamare mio padre e gli raccontai che cosa fosse successo, sperando che potesse trovare un modo per salvare il gattino. Ma non c’era niente che potesse fare; era troppo in alto perché una scala potesse essere di qualche utilità. Il gattino continuava a miagolare in cerca d’aiuto, mentre il sole iniziava a tramontare. L’oscurità alla fine avvolse il pino.
Non so che cosa sia successo a quel gattino. Il mattino seguente, quando mi alzai, non riuscii più a sentirlo piangere. Mi fermai ai piedi dell’albero e chiamai per nome il gattino, ma non ci fu risposta. Solo silenzio.
Forse il gatto era caduto durante la notte e se n’era andato da qualche parte (ma dove?). O forse, incapace di scendere, si era aggrappato ai rami, sfinito e sempre più debole, fino alla morte. Mi sono seduto lì sotto il portico, guardando l’albero, con questi scenari che mi attraversavano la mente. Pensando a quel gattino bianco, aggrappato con tutte le forze con i suoi piccoli artigli, poi avvizzito e morto.
L’esperienza mi ha insegnato una chiara lezione: scendere è molto più difficile che salire. A grandi linee, si potrebbe dire che i risultati sopraffanno le cause e le vanificano. In alcuni casi, nel procedimento resta ucciso un gatto; in altri casi, un essere umano.

Murakami conclude la sua riflessione affermando: sono il figlio comune di un uomo comune. Il che è abbastanza evidente, lo so. 

E chiude l’articolo con una bellissima immagine.

Per dirla in altro modo, immagina che le gocce di pioggia cadano su un ampio tratto di terra. Ognuno di noi è una goccia di pioggia senza nome tra innumerevoli gocce. Una caduta discreto e individuale, certo, ma completamente sostituibile. Tuttavia, quella goccia di pioggia solitaria ha le sue emozioni, la sua storia, il suo dovere di portare avanti quella storia. Anche se perde la sua integrità individuale e viene assorbito in qualcosa di collettivo. O forse proprio perché è assorbito in un’entità collettiva più grande.
Di tanto in tanto, la mia mente mi riporta a quel pino che incombeva nel giardino della nostra casa a Shukugawa. Al pensiero di quel gattino, ancora aggrappato a un ramo, il corpo che si trasforma in ossa sbiancate. E penso alla morte, e quanto sia difficile arrampicarsi da terra, così lontano sotto di te da far girare la testa. 

Spero di avervi offerto una gradevole lettura, aiutandovi a gettare uno sguardo nella memoria di un grande autore, amatissimo in tutto il mondo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il linguaggio delle fiabe dei fratelli Grimm

Ho letto questo articolo, che qui trovate in originale, e ve lo propongo.

IL LINGUAGGIO DELLE FIABE DEI FRATELLI GRIMM

I modesti inizi

C’erano una volta due fratelli di Hanau la cui famiglia si trovava in ristrettezze. Il padre era morto, lasciando una moglie e sei figli completamente senza denaro. La loro povertà era così grande che la famiglia era costretta a mangiare una volta il giorno.

Così fu deciso che i fratelli dovessero andare in giro per il mondo in cerca di fortuna. Ben presto trovarono la loro strada all’università di Marburgo per studiare legge, ma lì non poterono fare fortuna da nessuna parte. Sebbene fossero figli di un magistrato statale, erano i figli dei nobili a ricevere assistenza dallo stato e stipendi. I poveri fratelli incontrarono innumerevoli umiliazioni e ostacoli per farsi un’istruzione lontano da casa.

All’incirca in questo periodo, dopo che Jacob ebbe abbandonato gli studi per sostenere la famiglia, l’intero regno tedesco di Westfalia divenne parte dell’impero francese sotto il dominio di Napoleone Bonaparte. Rifugiandosi in biblioteca, i fratelli trascorrevano molte ore studiando e cercando storie, poemi e canzoni che narrassero racconti delle persone che avevano lasciato dietro di sé. Sullo sfondo delle avvisaglie della guerra e del sovvertimento politico, in qualche modo la nostalgia delle storie di un tempo più lontano, delle vite e del linguaggio delle persone, in piccoli villaggi e città, nei campi e nella foresta, sembrò più importante che mai.

Allora questa è la strana storia del passaggio dalla miseria alla ricchezza di due mansueti bibliotecai, Jacob e Wilhelm Grimm (affettuosamente conosciuti come i fratelli Grimm) che andarono in cerca di fiabe e casualmente finirono con il cambiare il corso della linguistica storica e con il dare l’avvio a un intero, nuovo campo del sapere riguardo il folklore.

Collezionando fiabe

I fratelli Grimm lavoravano come bibliotecari, occupazione che allora come ora non era molto lucrativa, anche se lavoravi per il nuovo re nella biblioteca privata reale. Il giovane e disoccupato Jacob Grimm ottenne il lavoro dopo che il segretario reale l’ebbe raccomandato; dimenticarono di verificare la sua formale qualifica e (come Jacob sospettava) nessuno la rese ufficiale. (Wilhelm si unì a lui come bibliotecario poco dopo) l’unica istruzione che il segretario reale gli aveva dato era: “Scriverai a grandi lettere sulla porta: biblioteca privata reale”; ciò gli diede una gran quantità di tempo per fare altre cose, come lo studio delle lingue e il radunare la tradizione folklorica. Ma quale linguaggio aveva che fare con le fate?

Molte persone sono consapevoli che i fratelli Grimm raccolsero storie di fate per la delizia dei bambini in ogni luogo. Secondo la gente logica e razionale, simili storie, statisticamente improbabili, con le loro streghe, fate, principi e principesse, taglialegna, sarti, bambini smarriti, animali parlanti, che se la spassavano tra i boschi dal primo maggio al gelido solstizio d’inverno, erano spesso archiviate come qualcosa di strano, qualcosa di sciocco, mai serio e di certo non erudito. Perché dovremmo curarci di simili storie?

L’impulso che spinse i Grimm verso la duplici passione per il linguaggio e il folklore probabilmente deriva da quell’ universale stimolo che è la nostalgia di casa.

Fin da quando era uno scolaro, Jacob Grimm ebbe familiarità con quale linguaggio si potesse usare per far sentire qualcuno a casa o un estraneo. Come il topo di campagna a scuola, uno dei suoi insegnanti era solito rivolgersi a lui con la terza persona egli piuttosto che il più rispettoso voi, in uso per tutti gli alunni di città. Lui non lo dimenticò mai. Sentiva la mancanza delle passeggiate con il padre nei villaggi vicini e della vista della gente di campagna che continuava la propria vita, dal lavoro al divertimento, tra una nube di fumo di tabacco e la luminosa luce del sole, prima che tutto fosse cambiato.

All’università i Grimm per fortuna incontrarono il poeta romantico Clemens Brentano, che chiese loro di aiutarlo a raccoglie canzoni popolari e poesie. Ciò cominciò a indirizzare il loro amore per la famiglia, la casa natale e il retaggio verso uno studio della tradizione orale tedesca. I fratelli nutrivano particolare interesse per le storie, facendo una cernita tra i frammenti culturali che fino a quel momento nessuno si era davvero mai curato di mettere per iscritto. Le storie delle vecchie moglie erano per le vecchie mogli e per i bambini, di certo non per i rispettabili studenti, ma i fratelli Grimm sentivano l’urgenza di annotare queste storie popolari “per preservarle dallo svanire come rugiada sotto il sole caldo, o come fuoco spento dalla sorgente, eternamente in silenzio nel tumulto dei nostri tempi.”

Per tedeschi romantici come i Grimm, questa purezza fu espressa in “naturpoesie” o poesia popolare.

Le guerre napoleoniche portarono un periodo di grande turbolenza politica e sociale. Il regno di lingua tedesca fu diviso e molti studenti tedeschi, Jacob e Wilhelm tra essi, furono guidati dal nazionalismo alla conservazione dell’eredità tedesca in via di sparizione. Il cuore di tutto ciò fu il movimento del Romanticismo tedesco, con il suo toccante desiderio di autenticità. I Romantici credevano di trovare questa verità nelle più semplici parole e nella saggezza della gente comune, prestando attenzione e un passato nostalgico e onorato. Per i Romantici questa purezza era espressa dalla “naturpoesie” o poesia popolare.

Come nota l’etnologa Regina Bendix, fu difficile per i conservatori culturali della “naturpoesie” – i precursori degli odierni intellettuali hipster – conciliare ciò che essi ritenevano fosse il più autentico genere di poesia con le classi più bassi, specialmente quelle povere della città. Cita Johann Gottfried Herder il quale disse sdegnosamente: “Il popolo – che non è la marmaglia nelle strade, non canta o compone mai, ma solo urla e mutila.”

Così il buon popolo che aveva creato e condiviso questa tradizione orale con le proprie parole, isolate e preservate dagli studenti, estrapolate dal contesto sociale, fu in realtà idealizzata, immaginario popolo da qualche parte nella nebbia, persino il passato medievale,

non dissimile da una fiaba, piena di terrore e di bellezza che fu eliminata dal presente. Raggiungere l’autenticità del folklore tedesco e del linguaggio significò ricercarla il più indietro possibile nel tempo per scoprire le sue origini fondamentali.

Ciò è quel che fecero i fratelli Grimm nel raccogliere quante più storie poterono, in dialetto, in tutto il paese, non importava quanto fossero violente, offensive o macabre. In quel periodo le fiabe che affascinavano la classe sociale più alta erano scritte per essere momenti di insegnamento letterario o morale, come le storie di Charles Perrault. I fratelli Grimm pensavano che questa specie di di stile francese reso più accettabile fosse più “fakelore” che folklore, con il linguaggio artificiosamente letterario, scritto amorevolmente per essere letto dalle classi colte. Il loro originale approccio era includere le storie popolari come una sorta di “naturpoesie” e metterle per iscritto non soltanto per la letteratura, ma per la scienza.

La linguistica e la legge di Grimm

Non è ben noto che nel mondo della linguistica Jacob Grimm è più famoso come linguista per la cosiddetta “legge dei Grimm” qualcosa di completamente avulso dalla raccolta delle storie vecchie come il tempo. Non è neppure abbastanza noto un inatteso successo dei fratelli Grimm “Kinder und Hausmarchen” (Bambini e storie domestiche) che inizialmente fu un lavoro scientifico di erudizione sulla cultura locale, non scritto per i bambini. Jacob scrive: “Non ho scritto questo libro di storie per i bambini, sebbene mi faccia piacere che sia a loro gradito; ma non vi avrei lavorato con piacere se non avessi creduto che potesse sembrare e essere importante per la poesia, la mitologia e la storia tanto per le persone più serie e di una certa età quanto per me.”

Invece furono i primi a impostare un rigoroso metodo di raccolta e di ricerca della tradizione orale in cui furono serbate numerose annotazioni dei narratori, dei luoghi e dei tempi. Insolitamente l’autentico linguaggio dei narratori, le parole dialettali e vernacolari che usarono, furono preservate. Furono fatte accurate comparazioni tra le differenti versioni di una storia narrata ai Grimm. I Grimm dichiararono: “Il nostro primo scopo nel raccogliere queste storie è stato la precisione e la verità. Non abbiamo aggiunto nulla di nostro, né abbellito eventi o struttura della storia, ma le abbiamo dato valore proprio come noi stessi l’avevamo ricevuta.”

Questo fu davvero un lavoro pionieristico nella disciplina folkloristica. E siccome confrontava le storie, sforzandosi di ricostruire il lontano inizio della cultura tedesca, Jacob Grimm si interessò sempre di più al linguaggio. Il linguaggio era un mezzo che avrebbe permesso di giungere fino all’autentico e originario passato tedesco. Come e perché le parole si erano trasformate da differenti linguaggi o dialetti tedeschi in altre lingue indoeuropee?

Il lavoro di Jacob Grimm conduce a un approccio più rigoroso e scientifico nella linguistica storica, che in definitiva apre la strada alla moderna linguistica formale come scienza.

Sebbene non fosse stato il primo a osservare il fenomeno, fu la ricerca linguistica di Grimm che spiegò la completa e sistematica rispondenza sonora tra la lingua tedesca e le sue affini nelle altre lingue indoeuropee, come il cambiamento dalla muta “p” nella parola che sta per padre in latino e in sanscrito in “pater” e “pità” alla muta fricativa “f” nella lingua tedesca come in “father” in inglese e “vater” in tedesco. Questo fenomeno è ora noto come Legge di Grimm.

E a questo proposito, la linguistica storica tedesca è nata dal desiderio di conoscere meglio le origini delle storie popolari tedesche, e la fonologia storica si è sviluppata come un nuovo campo di studio. Il lavoro di Jacob Grimm, insieme con quelllo dei suoi contemporanei, conduce a un approccio più rigoroso e scientifico nella linguistica storica, il quale in definitiva apre la via alla moderna e formale linguistica come scienza.

La trama s’infittisce

Con questi grandi risultati, possiamo dire che i fratelli Grimm vissero felicemente fino alla fine dei loro giorni. Naturalmente ogni bella storia ha una svolta (e non riferisco la parte in cui i fratelli Grimm, come membri dei Sette di Gottinga, furono in seguito esiliati dall’amata patria dal re di Hannover, causando proteste di massa da parte degli studenti).

Con le migliori intenzioni i fratelli Grimm hanno impostato la struttura scientifica e concettuale dello studio del folklore. Ma la loro passione dominante in realtà fu la costruzione di una letteratura folklorica nazionale. Immaginiamo i due emotivi bibliotecari che viaggiano per il paese raccogliendo storie dalla loro gente di paese, attaccando bottone nei campi fangosi, nelle taverne e nelle locande, in mano boccali di birra e quaderni per gli appunti. Tutto ciò è tristemente apocrifo. In realtà molte delle loro fonti erano o letterarie o raccolte tra le conoscenze più anziane della loro stessa classe. (alcune delle quali erano raccolte in forma anonima per evitare domande scomode) e come risultato, alcune non erano neppure originarie della Germania.

Lo studio di Orrin W. Robinson mostra come, malgrado la perseveranza dei fratelli Grimm nel prender nota del linguaggio del narratore alla lettera così come lo ricevevano, la verità e che quelle storie sono state revisionate e manipolate, in particolare da Wilhelm. Possiamo tracciare i cambiamenti attraverso le edizioni e prestarono un manoscritto iniziale al distratto Clemens Brentano il quale dimenticò di distruggerlo. I fratelli Grimm furono capaci di usare la loro considerevole esperienza di storie popolari e di linguistica per alterare le storie in sembianze più autenticamente tedesche. Per esempio i nomi di Hansel e Gretel, che noi conosciamo così bene, sono stati scelti semplicemente perché davano l’apparenza esteriore di un’autentica storia popolare di una certa zona, sebbene inizialmente la fiaba fosse nota come “Il fratellino e la sorellina”.

Sebbene in versioni precedenti alcune storie fossero narrate con il discorso indiretto, o nel tedesco consueto usato dalle fonti della classe media dei Grimm, in versioni successive acquisirono il discorso diretto, spesso in dialetti locali, includendo espressioni popolari e proverbi così come autentici versi e poesie popolari. I fratelli Grimm avrebbero involontariamente rivelato i loro pregiudizi morali e di genere, commutando i pronomi per i personaggi femminili anche all’interno di una singola storia, per esempio quando era avvenuta una trasformazione. Considerando l’esperienza infantile dello stesso Jacob Grimm con i pronomi, ciò è strano. Robinson mostra che quando le ragazze sono buone o molto giovani, ci si riferisce a loro con il pronome neutro <i>essa</i> mentre alle ragazze cattive o più mature ci si riferisce con il femminile <i>ella, lei</i>. Il contrasto nell’uso chiarisce che non è casuale, specialmente quando è paragonato a un’altra fonte scritta della medesima storia in cui i pronomi sono usati coerentemente. Per qualcuno il fallimento dei fratelli Grimm nel seguire i loro stessi metodi di ricerca rappresenta una perdita disastrosa per il folklore tedesco. Ma va anche sottolineato che, revisionando uniformemente la struttura narrativa, i fratelli Grimm hanno anche messo le basi della struttura stilistica dalla quale noi riconosciamo una fiaba e che quella struttura è stata seguita da allora. Con C’era una volta, malgrado le loro imperfezioni, i fratelli Grimm hanno compiuto qualcosa di leggendario nella costruzione del corpus nazionale della letteratura popolare. E l’eredità che hanno lasciato dietro di loro per i linguisti e i folcloristi è sopravvissuto felicemente anche successivamente.

Creando Leggendo – III Fiera locale dell’Editoria per Bambini, Vetralla 21-23 aprile 2008

 

Attenendomi al consiglio “meglio con due ore d’anticipo che con un minuto di ritardo”, decido di partire per Vetralla il pomeriggio del ventuno aprile, anche se l’appuntamento con i bambini è per la mattina del ventidue alle 10,00. 

Sul sedile della macchina ho la valigetta con tutto ciò che mi occorre: una copia del libro, il quadernone con la storia scritta a mano e piena di correzioni, il raccoglitore delle ricerche, la pen drive con le foto della Scozia. 

A casa avrò modo con calma di rivedere tutto e organizzarmi, approfittando dell’occasione per stare un po’ in compagnia dei miei ragazzi. 

Ho visto che il programma dei tre giorni è ricco di iniziative diverse, non ultima una interessante presenza di case editrici a volte più difficili da trovare nelle grandi librerie e sono curiosa di dare un’occhiata.Dsc_0055

Il martedì a Vetralla è giorno di mercato e trovare un parcheggio si rivela subito un’impresa ardua, ma dopo un po’ di tentativi, riesco a trovare un posticino. Non è proprio l’ideale, ma avrò tempo di spostare la macchina appena finito l’incontro. 

Tornare dentro la scuola Elementare di Vetrallaè fare un tuffo nel passato e ritrovare molte persone con le quali ho lavorato, dalle colleghe dell’ufficio alle insegnanti ai collaboratori scolastici. 

Nella sala conferenze della scuola mi aspettano già Gabriella Norcia, che con il marito, l’editore Davide Ghaleb, ha organizzato la manifestazione, e il dirigente scolastico della scuola, il dott. Roberto Santoni.DSC_0028a

L’accoglienza è calorosa, ho giusto il tempo di dare un’occhiata alla sala e ai libri esposti, e i bambini cominciano ad arrivare.
Il primo gruppo è quello degli alunni di quinta elementare e di prima media, sono molto ordinati e prendono posto senza fare confusione. 

Per rompere il ghiaccio racconto loro come è nata la mia passione per la scrittura e mi ascoltano pieni di interesse, ma ben presto vogliono diventare parte attiva dell’incontro e incomincia la raffica delle domande, preparate con cura e molte rivolte a capire che cosa si celi dietro il mestiere di scrivere.
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Scopro così, con grande piacere, che molti di loro coltivano, più o meno segretamente, questa passione e scrivono racconti di fantasia, di avventura, poesie.
Molto divertente e interessante è il guardare insieme le foto della Scozia, soddisfare le loro curiosità, ma senza svelare troppo della trama, come chiedono quelli che ancora devono leggere il libro.
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Il tempo previsto per l’incontro passa molto in fretta, devono prepararsi a lasciare il posto al nuovo gruppo, non prima però di avermi chiesto di firmare le copie dei loro libri o anche di lasciare loro una dedica su un semplice pezzo di carta.
Inutile sottolineare il mio imbarazzo, ho cercato di trasmettere la mia consapevolezza di onesto lavoro artigiano della scrittura, ma per loro devo fregiarmi del titolo di scrittrice a tutti gli effetti.
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Anche con il secondo gruppo il tempo vola, sono piuttosto interessati al manoscritto e naturalmente anche loro attratti dalle foto. Il loro unico rammarico è che siano finite le copie del libro, ma sanno che il giorno dopo potranno averlo. 

Quando finalmente nel salone torna la calma, mi trattengo ancora per fare due chiacchiere con gli organizzatori, con il dirigente scolastico e con l’autrice di fiabe che si presenterà ai bambini il giorno dopo, zia Betty. 

Il bilancio è estremamente positivo ed esco dalla scuola entusiasta, assai più tardi del previsto. Così tardi che ho dimenticato la situazione precaria della mia macchina e a riportarmi alla dura realtà della vita quotidiana ci pensa  l’avviso di multa sul parabrezza!
Pazienza, alla prossima occasione starò più attenta.

Notizie da Più libri più liberi

Il motivo per il quale mi piace molto questa fiera è la sua ragione d’essere, appunto la possibilità di vedere concentrati in un apposito spazio piccoli e medi editori che normalmente nelle grandi manifestazioni non hanno posto e anche nelle librerie faticano a trovare una loro collocazione, presi in mezzo tra i colossi della carta stampata.

Il piano terra del Palazzo dei Congressi dunque ospita tutti gli stand oltre al Caffè Letterario e allo Spazio Blog, mentre al primo piano sono collocate le sale per gli incontri, una piccola parte di stand e lo Spazio Ragazzi, del quale tornerò a parlare. Le sale hanno cambiato nome, non sono più dedicate come l’anno scorso a poeti e scrittori, ma alle pietre preziose, infatti abbiamo le sale diamante, smeraldo, rubino, turchese, ametista e corallo ( che non è proprio tale, ma rientra nel novero delle preziosità)

Per mio conto mi sono goduta anche il bel colpo d’occhio sul piano terra affacciandomi dalla balaustrata che circonda il primo piano. Mi sono soffermata a guardare gli stand dall’alto, la gente che passava e si tratteneva nei vari stand, ma soprattutto le macchie coloratissime delle copertine dei libri che mi ammiccavano allettanti ( sì, lo so che non è così, ma lasciatemi fare….)

Ho contato sul programma circa 380 espositori, tra i quali figurano anche parecchi editori esclusivamente per ragazzi: Giannino Stoppani, Lapis Edizioni, Edibimbi, Topipittori, Gallucci Editore, Babalibri, Il Castoro, Beisler Editore, Motta Junior, La Scuola, solo per citarne alcuni.

Ho notato inoltre la predominanza dei testi riccamente illustrati e quindi una più ampia offerta rivolta ai lettori più piccoli.

Ma parliamo dello spazio al primo piano, dedicato ai bambini e ai ragazzi.

Quest’anno l’offerta di attività e di proposte è stata ancora più consistente, visto il buon esito dello scorso anno in termini di affluenza.

Come il solito la Biblioteca Centrale per Ragazzi di Roma ha curato e proposto il ricco programma di animazioni e di letture, di laboratori e di spettacoli nello spazio suddiviso in tre settori: la Bibliolibreria nella quale era possibile sia prendere in prestito che acquistare libri; l’Area Mostra in cui la Fondazione Bioparco di Roma ha allestito il Giardino della biodiversità per affrontare con i ragazzi i temi dell’evoluzione e della conservazione del patrimonio della biodiversità; l’Area Incontri per le attività di lettura e di spettacolo che hanno visto il diretto conivolgimento del pubblico, costituito soprattutto di bambini e ragazzi, ma anche di genitori e di “addetti ai lavori”

Anche quest’anno era stato allestito l’angolo dedicato al progetto nazionale Nati per leggere e inoltre è avvenuta la presentazione del sito e del Libro Leggere che piacere, creati con la  collaborazione dell’Assessorato alle Politiche Educative del comune di Roma. Scopo del sito è aiutare i docenti, gli educatori più in generale, a far sì che la lettura diventi una pratica abituale nella scuola dell’Infanzia e prevede quindi anche corsi di formazione in tal senso.  Contenuto del libro le proposte operative e gli strumenti bibliografici realizzati nell’ambito del corso.

Tirando le somme, il risultato mi è sembrato positivo, e ritengo che la fiera della piccola e media editoria abbia oramai conquistato a pieno diritto un buon posto tra le manifestazioni dedicate al mondo della carta stampata.

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Più libri più liberi 6^ edizione

 

logoplplSi apre stamattina al Palazzo dei Congressi (EUR) di Roma la sesta edizione di Più libri Più liberi, la fiera dedicata alla piccola e media editoria.
Programma ricco di appuntamenti, per tutti i gusti.
Ci saranno gli incontri con gli autori, letture, discussioni su vari temi di attualità, iniziative volte a promuovere la lettura, nonché intermezzi musicali e esibizioni dal vivo che costituiranno piacevoli pause tra i vari eventi delle giornate di fiera.
Il programma è vario, per tutti i gusti, e ciascuno può pianificare il proprio programma personale grazie anche al motore di ricerca interno al sito, che permette di visualizzare gli appuntamenti secondo le date, i luoghi ( le aree, le sale, il caffé letterario, gli spazi) e gli argomenti.
Non mancheranno lo spazio-blog di Splinder e gli appuntamenti nel Caffé letterario con la diretta di Fahrenheit
Vi segnalo un’iniziativa di solidarietà: durante i giorni della fiera sarà possibile acquistare le stelle di Natale a sostegno dell’AIL, Associazione Italiana contro le Leucemie, in un apposito stand allestito nel piazzale.
Per quanto mi riguarda, andrò in fiera sabato mattina e naturalmente buona parte della mia visita sarà dedicata alle iniziative per i giovani lettori, visto che quest’anno lo spazio a loro dedicato è ancora più ampio.
Non vedo l’ora di aggirami tra gli stand, frugando con gli occhi in cerca di chicche e di novità, di vecchi ricordi e di nuovi stimoli.
Sabato la fiera diventerà il mio personale paese dei balocchi.colosseo158x124blu

Una giornata particolare

La bella parentesi siciliana si è chiusa sabato scorso, ma solo adesso riesco a mettere nero su bianco le emozioni di quella giornata, perché il rientro al lavoro mi ha impegnata più del previsto.
Martedì 1° maggio ho incontrato la professoressa Pinuccia Diecidue e suo marito a Sciacca, e conoscendoci di persona, prima dell’appuntamento a scuola, abbiamo rotto il ghiaccio e  chiacchierato piacevolmente, davanti ai gustosi e profumati piatti della cucina siciliana, sentendoci ben presto come due vecchie amiche.
Mercoledì 2 maggio sono arrivata puntuale all’appuntamento con gli alunni dell’Istituto Comprensivo di Caltabellotta. Entrando nel cortile della scuola li ho visti occhieggiare alle finestre e poi correre via appena mi hanno individuata.
Nell’atrio della scuola Pinuccia mi aspettava e così, emozionata come da tempo non ricordavo di essermi sentita, mi ha presentata ai suoi colleghi e al personale della segreteria. Mi hanno accolta tutti con grande calore e simpatia.
Gli alunni intanto rumoreggiavano nella piacevole confusione della ricreazione in attesa dell’incontro.
In sala mensa ci aspettavano gelato e caffè, giusto il tempo per scambiare qualche parola sulle prime impressioni siciliane e poi nell’aula magna…
Entrare e vedere gli alunni seduti ad aspettarmi, gli striscioni e i cartelli di benvenuto, è stata un’emozione grande. Mi tremavano un po’ le gambe e mi sono seduta volentieri al tavolo, sul quale spiccavano un bellissimo mazzo di fiori e un cesto di prelibatezze siciliane in segno di benvenuto.
Dopo le prime parole di saluto, è diventato tutto semplice e naturale. Malgrado anche la voce mi tremasse un po’, ben presto mi sono sentita completamente a mio agio tra la simpatia dei ragazzi, il sostegno di Pinuccia e il garbo della vice preside.
Le domande si sono susseguite, i ragazzi avevavo letto il libro con attenzione e lavorato molto su di esso, così avevano parecchie curiosità da torgliersi.
Ho scoperto che Pinuccia coltiva degli scrittori in erba, perchè tutti si sono cimentati nella stesura di una ideale prosecuzione della storia, con ottimi esiti di fantasia e di inventiva.
I ragazzi hanno apprezzato le fotografie della Scozia, che ho lasciato loro per un cartellone, e soprattutto sono rimasti molto colpiti dal grosso quaderno che ho mostrato loro, il manoscritto della storia pieno di appunti e di correzioni.
L’incontro si è concluso in un clima di allegria generale e dopo ci aspettava una sorpresa: nella sala mensa era stato allestito un sontuoso buffet grazie all’impegno e all’abilità delle mamme degli alunni. Tra tante delizie salate e dolci c’era solo l’imbarazzo della scelta!
Quindi mi hanno fatto visitare tutta la scuola e mostrato, con legittima soddisfazione, i lavori svolti e i numerosi premi vinti.
All’uscita di scuola alcune alunne ci ha accompagnati in un breve giro turistico di Caltabellotta: mi è piaciuta soprattutto la  cattedrale, con il belvedere affacciato sul paese e su un panorama immenso.
Infine è venuto il momento dei saluti, che è sempre un po’ triste. Sono stata davvero felice di aver avuto l’opportunità di incontrare Pinuccia e i suoi ragazzi, mi hanno conquistata con il calore, l’allegria e la simpatia.
Adesso che sono tornata a casa, alle cose di tutti i giorni, mi basterà riprendere in mano le letterine e le cartoline per ritrovare il sorriso di ognuno di loro e mi sembrerà di essere ancora sotto il sole della Sicilia, nel calore e nella simpatia con i quali sono stata accolta.
Un bacione, Pinuccia cara, e uno per ciascuno a tutti voi, ragazzi!

Bacio

Incontro con gli alunni

Finalmente il momento è arrivato. Si parte per la Sicilia, verso l’appuntamento con gli alunni dell’Istituto Comprensivo di Caltabellotta e della frazione di sant’Anna che hanno terminato la lettura e il lavoro di commento sul mio libro “Il mistero dell’altopiano”. Con la professoressa di lettere abbiamo concordato l’incontro per il 2 maggio e io ho preparato il materiale che intendo portare loro: i quaderni con gli appunti e le ricerche, il manoscritto del racconto, alcuni testi che ho usato, insomma, gli attrezzi del mestiere, ciò che possa servire a mostrare loro in modo concreto come ho lavorato per creare la vicenda e costruire i personaggi. Porterò con me anche le foto scattate durante il viaggio in Scozia, nei luoghi in cui è ambientata la storia, così potranno vedere come sono realmente e confrontarli con l’immagine che se ne sono fatti leggendo il libro.
Sono molto emozionata, hanno compiuto un lungo lavoro sul testo, che credo ora conosceranno meglio di me, e il nostro incontro sarà la giusta conclusione di mesi di attività e di corrispondenza.
In tutto questo tempo ho sentito vivo e vicino il loro entusiasmo e questa è la più grande soddisfazione che possa avere chi scriva con l’intento di dare qualcosa di buono a chi leggerà.
Mi ritroverete qui dopo la parentesi siciliana, con il racconto dell’esperienza. A presto.
CaltabellottaPanorama di Caltabellotta
La frazione santLa frazione di sant’Anna

Promemoria da tuo figlio

Ho ritrovato un vecchio foglio dattiloscritto, datomi tanti anni fa da una collega insegnante. In fondo riporta la dicitura ” Adattamento da “The king’s Business magazine”, Istituto Biblico di Los Angeles.”

Una breve ricerca mi ha fatto scoprire che si tratta del B.I.O.L.A. (Bible Institute Of Los Angeles ora Biola University). The King’s Business è stato pubblicato mensilmente dal 1910 al 1970, ma queste osservazioni, a prescindere dall’origine, credo abbiano ancora oggi una loro validità e ve le ripropongo.

Promemoria da tuo figlio

Promemoria

Non viziarmi. So benissimo che non dovrei avere tutto quello che chiedo. Voglio solo metterti alla prova.

Non aver paura di essere severo con me. Lo preferisco. Questo mi permette di capire in che cosa sono valido.

Non usare la forza con me. Questo mi insegna che la potenza è tutto ciò che conta. Sarò più disponibile ad essere guidato.

Non essere incoerente. Questo mi sconcerta e mi costringe a fare ogni sforzo per farla franca tutte le volte che posso.

Non fare promesse; potresti non essere in grado di mantenerle. Questo farebbe diminuire la mia fiducia in te.

Non cedere alle mie provocazioni quando dico e faccio cose solo per imbarazzarti, perché cercherei allora di avere altre vittorie simili.

Non essere troppo turbato quando dico: “Ti odio”. Non intendo dire questo, lo faccio perché tu sia triste per quello che mi hai fatto.

Non farmi sentire più piccolo di quanto non sia: rimedierei comportandomi da più grande di quanto non sia.

Non fare per me le cose che posso fare da solo. Questo mi fa sentire come un bambino e potrei continuare a tenerti al mio servizio.

Non fare che le mie “cattive abitudini” mi guadagnino molta parte della tua attenzione. Ciò mi incoraggia a continuare con esse.

Non correggermi davanti alla gente. Presterò molta più attenzione se parlerai tranquillamente con me a quattr’occhi.

Non cercare di discutere sul mio comportamento nella foga di un litigio. Ovviamente il mio udito non è molto buono in quel momento e la mia collaborazione è anche peggiore. È giusto comportarsi come si deve, ma bisogna parlarne con calma.

Non cercare di farmi prediche. Saresti sorpreso di vedere come so bene che cosa è giusto e che cosa è sbagliato.

Non farmi sentire che i miei errori sono colpe. Devo imparare a fare errori senza avere la sensazione di non essere onesto.

Non brontolare continuamente. Se lo fai dovrò difendermi facendo finta di essere sordo.

Non pretendere spiegazioni per il mio comportamento scorretto. Davvero non so perché l’ho fatto.

Non mettere troppo a dura prova la mia sincerità. Vengo facilmente intimorito, tanto da dire bugie.

Non dimenticare che mi piace molto fare esperimenti. Imparo da questi, per cui ti prego di sopportarli.

Non proteggermi dalle conseguenze. Ho bisogno di imparare dall’esperienza.

Non badare troppo alle mie piccole indisposizioni: potrei imparare a godere cattiva salute se questo mi attira la tua attenzione.

Non zittirmi quando faccio domande oneste. Se lo fai, scoprirai che smetto di chiedere e cercherò le mie informazioni altrove.

Non rispondere alle domande “sciocche” o senza senso. Desidero solo tenerti occupato con me.

Non pensare assolutamente di apparire ridicolo se ti scusi con me. Una scusa reale mi fa sentire sorprendentemente affettuoso verso di te.

Non sostenere mai di essere perfetto o infallibile. Questo mi offre il pretesto per non seguirti.

Non preoccuparti per il tempo che passiamo insieme. È “come” lo passiamo, che conta.

Non permettere che i tuoi timori suscitino la mia ansia, perché allora diventerei più pauroso. Indicami il coraggio.

Non dimenticare che non posso crescere bene senza comprensione e incoraggiamento, ma non ho bisogno di dirtelo, vero?

Ricordati, io imparo più da un esempio che da un rimprovero.

Ritratto

Chiaro & Semplice

Leggendo il post più recente nel blog di Luisa Carrada, ho scoperto il blog chiaro&semplice della professoressa Maria Emanuela Piemontese, della quale vi avevo parlato qui.
Mi fa piacere poter seguire la sua attività anche in questo modo e ho pensato di segnalarvela.Vocabolario

Il gioco del libro vicino

Sono stata invitata a partecipare a un gioco che si svolge così: si prende il primo libro a portata di mano, si apre a pagina 123, si contano le prime cinque righe e poi si riportano le successive tre. Poi si invitano altre tre persone a fare la stessa cosa. Io sono stata invitata da sgnapisvirgola e ora invito ilibrintesta, oyrad e gabrilu
L’idea è partita dal blog di didolasplendida.

“Con un colpo solo di questa spada uccise, in una lizza, Spens di Kilspindie che lo aveva insultato in presenza del re Giacomo IV perché contava sulla protezione che il suo signore gli accordava di solito. Ma, quella volta,  il suo re non aveva potuto prevenire quel colpo di spada più di quanto lo avesse riparato il suo scudo, che fu spezzato in due.”
Pag 123 “Maria Stuarda” di Alexandre Dumas, Sellerio Editore Palermo

me692_bigP.S.: sono andata un poco oltre le tre righe per ragioni di chiarezza.

Voci precedenti più vecchie

I piaceri della lettura

Leggere è come vivere decine e decine di altre vite

Binario Morto

Un blog poco trafficato

Panellenica

Un blog sui Greci antichi, oggi

Letterelettriche Edizioni

Casa Editrice digitale - E-books store

The Victorianist: BAVS Postgraduates

British Association for Victorian Studies Postgraduate Pages, hosted by Carys Hudson (Queen's University Belfast) and Hollie Geary-Jones (University of Chester)

Mammaoca

Fiabe integrali e poco altro. Si fa tutto per i bambini

La Fattoria dei Libri

di Flavio Troisi, scrittore e ghostwriter

strategie evolutive

ciò che non ci uccide ci lascia storpi e sanguinanti

Il cavaliere della rosa

Un blog orgogliosamente di nicchia: opera, ricordi e piccole manie di un improvvisato collezionista

Butac - Bufale Un Tanto Al Chilo

Bufale Un Tanto Al Chilo

Romanticism and Victorianism on the Net

Open access Journal devoted to British Nineteenth-Century Literature since 1996

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“I libri si rispettano usandoli.” U. Eco

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Articoli, commenti, considerazioni su libri, film e molto altro. Una Community della parola.....

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