La creatura

20170527

Autore: Chris Priestley

Traduttore: Sandro Ristori

Editore: Newton Compton

Anno di pubblicazione: 2012

Pagine: 288

Età di lettura: adolescenti

Genere: Horror, Fantasy

Londra, 1818. Billy è un piccolo furfante di strada. Portafogli e borsette sono le sue specialità. Cretur invece è un mostruoso gigante, un incubo orribile e spettrale, un essere che terrorizza e spaventa chiunque lo incontri e che non sembra neppure umano. All’inizio Billy e Cretur decidono di darsi una mano a vicenda, solo per pura convenienza. Ma tra crimini orribili e grandi slanci di generosità, a poco a poco tra loro nasce un legame che assomiglia sempre più alla vera amicizia. Fino a quando i due decidono di lasciare Londra e partire per un lungo viaggio verso nord, affrontando ladri di cadaveri, esperimenti scientifici, folle sanguinarie e amori impossibili, sulle tracce di uno scienziato che si diletta di arti oscure. Un uomo che ha commesso un peccato che non può perdonarsi e non può essere perdonato. Un uomo che si chiama Victor Frankenstein… 

La vicenda ha inizio nella fumosa e nebbiosa Londra del 1818, quindi in età georgiana, il periodo della storia inglese dal 1714 al 1830 che copre l’arco di tempo dall’ascesa al trono di re Giorgio I a quella di re Giorgio IV, e in particolare nel cosiddetto periodo Regency, (1811-1820) in cui appunto salì al trono come reggente con il nome di re Giorgio IV il Principe di Galles, durante la malattia di suo padre, re Giorgio III.

Billy è un ex spazzacamino divenuto abile ladruncolo di strada e ha solo quindici anni, ma ne dimostra solo otto. Cretur è un essere gigantesco dall’aspetto tanto terrorizzante da non sembrare neppure umano. Cretur è riverso in strada e Billy cerca di frugargli nelle tasche per ricavarne qualcosa, ma il temibile Fletcher, accompagnato come sempre dai suoi crudeli scagnozzi Skinner e Tyke, è seriamente intenzionato a punire duramente Billy per un debito non ancora saldato. All’improvviso Cretur, si alza, dimostrando di non essere l’orrendo cadavere che sembrava, e salva Billy dalla lama di Fletcher, portandolo nella soffitta in cui vive.

Comincia così una bizzarra convivenza, dettata inizialmente dalla reciproca intenzione di darsi una mano per necessità di convenienza. Nella semi oscurità della soffitta Billy si stupisce che Cretur passi il tempo leggendo, in particolare è colpito da fatto che stia leggendo Persuasione un romanzo di Jane Austen, e non può fare a meno di canzonarlo un po’ per quella che ritiene sia una lettura da donna perché “solo le donne leggono romanzi”.

Cretur si offre di proteggere Billy da Fletcher, ma in cambio gli chiede di pedinare al posto suo due uomini: Victor Frankenstein e Henry Clavel. Se mai al lettore fosse sorto un dubbio, a questo punto è diventato una certezza: è la storia della creatura del dottor Frankenstein dal punto di vista della creatura stessa.

Sulle tracce dei due uomini che Cretur gli ha chiesto di pedinare, Billy incontra Percy e Mary Shelley  e il poeta crede di riconoscere in Cretur qualcosa di familiare, ma la gigantesca creatura si dilegua prima che Shelley possa essere certo di ciò che ha visto.

Billy oramai è sempre più coinvolto nella vicenda personale di Cretur, riesce a poco a poco a strappargli qualche informazione in più sul suo passato e, pedinando Frankenstein, non tarda a scoprire quale sia l’attività dello straniero. Orripilato dalla scoperta che Cretur è un essere nato in laboratorio dalle folli manipolazioni di Frankestein, inizialmente Billy cerca di separarsi dal tetro gigante, ma si rende conto benissimo di come l’uno abbia oramai bisogno dell’altro, tuttavia la scoperta che Frankenstein stia cercando di creare una compagna per Cretur, lo sconvolge ancora più profondamente, sembrandogli tale atto ancora più blasfemo del precedente, soprattutto perché la creatura gli rivela il desiderio di avere figli, eventualità che al giovane Billy pare semplicemente mostruosa . Però in fondo al cuore di Billy si cela anche un po’ di gelosia, di fronte alla consapevolezza che Cretur si sentirà completo con accanto una compagna simile a sé e che vagheggi un futuro migliore nell’Eden incontaminato della foresta amazzonica, escludendolo così dalla propria vita.

Tuttavia il pedinamento dei due stranieri si trasforma in un inseguimento quando Billy apprende che stanno per lasciare Londra alla volta di Windsor e poi di Oxford. Stavolta lo stesso Cretur si mette sulle loro tracce con il ragazzo, che per la prima volta comincia a interrogarsi sui grandi dubbi etici e morali della vita, coinvolto come si trova nelle vicende della mostruosa creatura di Frankenstein.

La trama del libro si gioca tutta sul delicato equilibrio tra le emozioni e i sentimenti contrastanti che Cretur suscita in Billy, in un crescendo di consapevolezza e purtroppo anche di orrore alla scoperta di una parte di verità che Cretur ha celato e che invece Frankenstein rivela a Billy. E irrisolto appare il finale, nel momento della separazione tra i due così mal assortiti compagni di vita e di viaggio e sul futuro della peregrinazione di Frankenstein e di Clavel , ma è giusto che sia così e che il lettore scopra altro, come dice l’autore nella post fazione, leggendo il romanzo da cui tutto ha avuto origine.

E pieno di riferimenti e di citazioni è questo libro, vi ho già citato il fuggevole incontro con Percy e Mary Shelley, colei che creò il mito della creatura con il romanzo Frankenstein pubblicato proprio nel 1818, non a caso l’anno in cui si svolgono le vicende di Billy e di Cretur. I due, lasciata Londra, incontrano una carovana di creature mostruose, i freak, e a loro si aggregano sotto la protezione di mr Browning, dal medesimo cognome del regista che nel 1932 diresse un film dal titolo Freaks, dedicato alle vicende di un gruppo di creature appunto dotate dalla natura di irregolarità tali da renderle vittime di esibizioni nei baracconi delle fiere cittadine. All’epoca del viaggio di Billy nella zona del Distretto dei laghi i poeti Coleridge e Wodsworth vivevano lì. Il poeta John Keats e l’amico Charles Brown fecero un tour nel nord dell’Inghilterra e della Scozia proprio nel 1818 e si fermarono presso il circolo di pietre di Castlerigg, vicino Kensiwk, che Billy visita e presso il quale si trova l’abitazione della giovane Jane, di cui Billy si innamora. Keats parla di questa esperienza nell’Endimione, che Billy cita alla bella Jane spacciandolo per opera propria. All’epoca della pubblicazione di Frankestein Charles Dickens aveva cinque anni e non si può fare a meno di pensare a lui e al suo futuro Oliver Twist nel leggere che il nipote del vecchio rigattiere Gratz si chiema Fagin e che Billy, dopo la separazione da Cretur e la fuga da Kensiwk dice al locandiere di chiamarsi Bill Sikes.

E con questo delizioso gioco di citazioni, vi rimando al piacere di una gradevole lettura, ricca di colpi di scena e storicamente ben costruita.

Buon Ferragosto

Vi auguro un sereno Ferragosto con le parole di Gianni Rodari.

Uno e sette

Ho conosciuto un bambino che era sette bambini. Abitava a Roma, si chiamava Paolo e suo padre era un tranviere.
Però abitava anche a Parigi, si chiamava Jean e suo padre lavorava in un fabbrica di automobili.
Però abitava anche a Berlino, e lassù si chiamava Kurt, e suo padre era un professore di violoncello.
Però abitava anche a Mosca e si chiamava Juri, come Gagarin, e suo padre faceva il muratore e studiava matematica.
Però abitava anche a Nuova York, si chiamava Jimmy e suo padre aveva un distributore di benzina.
Quanti ne ho detti? Cinque. Ne mancano due.
Uno si chiamava Ciù, vive a Shanghai e suo padre era un pescatore; l’ultimo si chiamava Pablo, viveva a Buenos Aires e suo padre faceva l’imbianchino.
Paolo, Jean, Kurt, Juri, Jimmy, Ciù e Pablo erano sette, ma erano sempre lo stesso bambino che aveva otto anni, sapeva già leggere e scrivere e andava in bicicletta senza appoggiare le mani sul manubrio.
Paolo era bruno, Jean biondo, e Kurt castano, ma erano lo stesso bambino. Juri aveva la pelle bianca, Ciù la pelle gialla, ma erano lo stesso bambino. Pablo andava al cinema in spagnolo e Jimmy in inglese, ma erano lo stesso bambino, e ridevano nella stessa lingua.
Ora sono cresciuti tutti e sette, e non potranno più farsi la guerra, perché tutti e sette sono un solo uomo.

(I cinque libri, Einaudi, pag. 277)

Storia universale

In principio la terra era tutta sbagliata, renderla più abitabile fu una bella faticata. Per passare i fiumi non c’erano ponti. Non c’erano sentieri per salire sui monti. Ti volevi sedere? Neanche l’ombra di un panchetto. cascavi dal sonno? Non esisteva il letto. Per non pungersi i piedi, né scarpe, né stivali. Se ci vedevi poco, non trovavi gli occhiali. Per fare una partita non c’erano palloni: mancava la pentola e il fuoco per cuocere i maccheroni, anzi a guardare bene mancava anche la pasta. Non c’era nulla di niente. Zero via zero, e basta. C’erano solo gli uomini, con due braccia per lavorare, e agli errori più grossi si poté rimediare. da correggere, però, ne restano ancora tanti: rimboccatevi le maniche, c’è lavoro per tutti quanti.

(I cinque libri, Einaudi, pag. 313)

Libri, libri, libri…

In un libro ci si tuffa
come un birba nella zuffa,
come in mare il cormorano
o un pigrone sul divano,
come un bacio sulla guancia,
come lingua nell’arancia,
come l’ape dentro il fiore
o l’amante nell’amore,
come avaro nel guadagno
o la rana nello stagno.

Ha onde di carta leggera,
ha righe che sono orizzonti,
ti getta in una bufera,
ti salva con isole e ponti.
Ti sta in una mano ma è grande,
ti sta fra le dita ma è fondo,
ti semina in testa domande,
ti spiega il gioco del mondo.
Lo apri, e lui apre te.
Lo chiudi, però resta aperto.
E’ come un amico che c’è:
fedele, socievole, certo.

Se i libri fossero di torrone,
ne leggerei uno a colazione.
Se un libro fosse fatto di prosciutto,
a mezzogiorno lo leggerei tutto.
Se i libri fossero di marmellata,
a merenda darei una ripassata.
Se i libri fossero frutta candita,
li sfoglierei leccandomi le dita.
Se un libro fosse di burro e panna,
lo leggerei prima della nanna.

Roberto Piumini

Leggere da bambini

Mi dicono che io da fanciullino di tre o quattro anni, stava sempre dietro a questa o quella persona perché mi raccontasse delle favole. E mi ricordo ancor io che in poco maggior età, ero innamorato dei racconti, e del meraviglioso che si percepisce coll’udito, o colla lettura (giacché seppi leggere ed ami leggere assai presto). Questi, secondo me, sono indizi notabili d’ingegno non ordinario e prematuro. Il bambino quando nasce, non è disposto ad altri piaceri che di succhiare il latte, dormire, e simili. Appoco appoco, mediante la sola assuefazione, si rende capace di altri piaceri sensibili, e finalmente va per gradi avvezzandosi, fino a provar piaceri meno dipendenti dai sensi. Il piacere dei racconti, sebbene questi vertano sopra cose sensibili e materiali, è però tutto intellettuale, o appartenente alla immaginazione, e per nulla corporale né spettante ai sensi. L’esser divenuto capace di questi piaceri assai di buon’ora, indica manifestamente una felicissima disposizione, pieghevolezza ec. degli organi intellettuali, o mentali, una gran facoltà e vivezza d’immaginazione, una gran facilità di assuefazione e pronto sviluppo delle facoltà dell’ingegno ecc. (28 luglio 1821) (pag. 43)

Giacomo Leopardi


Non vi sono forse giorni nella nostra infanzia che abbiamo vissuto così pienamente come quelli che abbiamo creduto di aver trascorso senza viverli, i giorni passati in compagnia di un libro prediletto. Il gioco per il quale un amico veniva a cercarci durante il brano più interessante, l’ape o il raggio di sole fastidiosi, che ci costringevano ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare di posto, le provviste che ci avevano dato per la merenda e che lasciavamo accanto a noi su una panca, senza toccarle, mentre sul nostro capo la forza del sole andava diminuendo nel cielo azzurro, il pranzo che ci aveva costretti a tornare a casa e durante il quale pensavamo solo a quando, subito dopo, saremmo saliti a terminare il capitolo interrotto, vale a dire tutto ciò che, a quanto sembrava, riempiva quei giorni per gli altri, e che noi respingevamo quale ostacolo volgare a un piacere divino, e di cui la lettura avrebbe dovuto farci percepire soltanto l’inopportunità, tutto ciò ce ne imprimeva un ricordo così dolce (tanto più prezioso, a nostro giudizio attuale, di quello che allora leggevamo con amore) che, se ci capita ancor oggi di sfogliare i libri di una volta, altro non vediamo in essi se non gli unici calendari che abbiamo conservato dei giorni fuggiti, e con la speranza di veder riflesse sulle loro pagine le dimore e gli stagni che non esistono più.
Chi non ricorda con me quelle letture fatte all’epoca delle vacanze, che nascondevamo, poi, in tutte quelle ore del giorno che erano abbastanza tranquille e inviolabili da poter dare loro asilo?
(pagg.61-62)

Marcel Proust


Ho tratto questi brani dal minuscolo libro Leggere da bambini: la magia di un incontro (Filema, 2010, a cura di Giulia Alberico, euro 10,00). Non è una lettura per bambini, ma piuttosto un delizioso vademecum della memoria per adulti che rammentino ancora con grande piacere l’infantile scoperta della lettura e del suo linguaggio del cuore. All’interno anche le testimonianze di Elias Canetti, Tullio De Mauro, Mario Fortunato, Amos Oz, Jacques Prévert, Elisabetta Rasy, Jean Paul Sartre e Clara Sereni.

Con l’augurio di una piacevolissima lettura in un angolo celato del vostro Ferragosto.

Leggere da bambini

Il pianeta degli alberi di Natale

Il pianeta degli alberi di Nataleimage008

Dove sono i bambini che non hanno
L’albero di Natale
Con la neve d’argento, i lumini
E i frutti di cioccolata?
Presto, presto, adunata, si va
Nel Pianeta degli alberi di Natale,
io so dove sta.

Che strano, beato Pianeta…
Qui è Natale ogni giorno.
Ma guardatevi attorno:
gli alberi della foresta,
illuminati a festa,
sono carichi di doni.

Crescono sulle siepi i panettoni,
i platani del viale
sono platani di Natale.
Perfino l’ortica,
non punge mica,
ma tiene su ogni foglia,
un campanello d’argentonatale16
che si dondola al vento.

In piazza c’è il mercato dei balocchi.
Un mercato coi fiocchi,
ad ogni banco lasceresti gli occhi.
E non si paga niente, tutto gratis.
Osservi, scegli, prendi e te ne vai.
Anzi, anzi, il padrone
Ti fa l’inchino e dice:”Grazie assai,
torni ancora domani, per favore:
per me sarà un onore…”

Che belle le vetrine senza vetri!
Senza vetri, s’intende,
così ciascuno prende
quello che più gli piace: e non si passa
mica alla cassa, perché
la cassa non c’è.

Un bel Pianeta davvero
Anche se qualcuno insiste
A dire che non esiste…
Ebbene se non esiste, esisterà:
che differenza fa?

Gianni Rodari

Tre modi di scrivere per l’infanzia

letturaRiordinando la biblioteca, mi è capitato tra le mani il grosso volume di Clive Staple Lewis “Le cronache di Narnia” (Mondadori, 2006, euro 20,00) e ne ho approfittato per rileggere il breve saggio posto a conclusione dell’opera: “Tre modi di scrivere per l’infanzia”.
Lewis sostiene che, secondo la sua esperienza, di questi modi due siano buoni e uno si riveli quasi sempre cattivo.
Che cosa caratterizza questo modo “cattivo”? Il vedere nella scrittura per l’infanzia la necessità di dare ai piccoli lettori ciò che vogliono, anche se all’autore non piace o non interessa affatto.
Un secondo modo ha solo una parziale somiglianza con il precedente e la differenza consiste nel fatto che, seppure cerca di dare al bambino ciò che desidera, è lo sviluppo scritto di una narrazione orale fatta ad un ascoltatore reale e ciò impedisce al narratore di proprinargli qualcosa in cui non creda, perché egli sentirebbe la stonatura e si accorgerebbe di aver di fronte una costruzione, nata dalla mentalità di un adulto.
Il terzo modo, l’unico che Lewis conoscesse, consiste nello scrivere storie per l’infanzia perché esse costituiscono la forma migliore in cui esporre ciò che si sente e si vuole trasmettere, tenendo presente un dato di fatto fondamentale:”l’esperienza vissuta da bambini differisce enormemente da quella di cui sono stati testimoni i nostri parenti e genitori”.
Lewis propone la trilogia di Edith Nesbit sulla famiglia Bastable come esemplificazione di un principio generale secondo il quale se il racconto è la forma più adatta a esprimere ciò che l’autore vuole dire, nè conseguirà che l’interesse per l’argomento non sarà vincolato all’età anagrafica del lettore.
Anzi, Lewis arriva a sostenere che se una storia per bambini piace solo ai bambini, non è un granché.
Questa regola gli sembra valida in modo particolare se applicata al suo genere preferito, il fantastico/fiaba, e sottolinea come nel nostro mondo moderno il concetto di “adulto” abbia una forte connotazione positiva, contrapposto alla disprezzata “sindrome di Peter Pan”.
“Un uomo che a 53 anni ammetta che nani, giganti, streghe e bestie parlanti gli siano cari come quando era bambino, non verrà lodato per la sua anima eternamente giovane, ma deriso e compatito per arresto dello sviluppo”.
La difesa di Lewis contro questa distorta visione delle fiabe e della letteratura per ragazzi si articola in tre punti:
1) preoccuparsi di sembrare adulti, aspirare alle cose da adulti e indispettirsi al sospetto di passare per infantili sono fasi dell’adolescenza. Fasi che a volte si protraggono nella prima maturità o addorittura nella mezza età, provocando così il determinarsi di personalità dallo sviluppo bloccato. Diventare adulto significa mettere da parte la paura di sembrare infantile e il desiderio di mostrarsi cresciuto.
2) L’accusa di infantilismo deriva dal non aver abbandonato i gusti che si avevano da ragazzi, quando in realtà il processo di crescita è un arricchimento, un aggiungere altro ai propri gusti e alle proprie preferenze.
3) Associare la fiaba e il fantastico con il mondo dell’infanzia è un pregiudizio, come ha dimostrato anche Tolkien nel suo saggio sulla fiaba. Egli sostiene che il fascino esercitato dalla fiaba sull’adulto consiste nella possibilità che essa gli offre di crearsi un proprio mondo personale. Inoltre secondo Jung “la fiaba libera gli archetipi che dimorano nell’inconscio collettivo e quando ne leggiamo una particolarmente bella obbediamo all’antico precetto del conosci te stesso”.
A queste teorie Lewis aggiunge la propria, secondo la quale l’uso di creature fantastiche dai comportamenti umani permette di esprimere tipi e psicologie con maggior incisività che nel romanzo, a vantaggio di lettori che ancora di esso non conoscono la forma.

lettura_2Così come non tutta la letteratura infantile è fantastica, non tutti i libri del fantastico sono infantili, benché i racconti fantastici per bambini e per adulti abbiano molti più punti in comune tra loro che non con il romanzo o con il racconto “sulla vita dei ragazzi”. Tutto ciò perché il lettore autentico non applica alle proprie letture il criterio di divisione per blocchi di età.

Che “Quelli che vengono biasimati per leggere libri infantili in età matura sono gli stessi che da piccoli venivano criticati per leggere libri da grandi” è un altro innegabile dato di fatto che Lewis pone in evidenza e continua ricordandoci che l’accusa più frequente rivolta alla fiaba è che essa distorca agli occhi del bambino l’immagine del mondo in cui vive. In realtà la fiaba suscita un desiderio di “fantastico” il quale appaga il lettore a livello emotivo, diversamente da quanto fa invece un libro che risvegli altri desideri, più concreti e materiali, più legati al vissuto quotidiano e perciò più suscettibili di creare reali delusioni.
Entrare in un mondo fatato è un bisogno diverso da quello di essere il più amato in famiglia o il più ammirato della classe.
Lewis considera ancora più grave l’attacco alla fiaba portato da coloro i quali la combattono per difendere i bambini dalla paura. Il problema è che non si sa che cosa provochi o no la paura nei bambini e quindi, secondo queste persone, non si dovrebbe far nulla che possa inculcare nei bambini alcun tipo di fobia o si dovrebbe nascondere loro che sono nati e vivono in un mondo del quale il male è parte integrante, con tutto ciò che questo fatto comporta.
Lewis sostiene che le paure sembrano già latenti in ciascuno di noi, pronte a manifestarsi in qualunque momento, magari anche attraverso un libro, ma a questo punto è lecito domandarsi se si possa parlare di fonte o solo di occasione di paura, né più e né meno come di ogni ogni altra immagine o situazione con la quale il bambino possa venire in contatto perché le fiabe contengono tutto ciò che “nobilita la paura e la rende sopportabile”.
Per concludere Lewis rifiuta non solo la domanda “che cosa vogliono i bambini moderni?”, ma anche la sua conseguenza: “di che cosa hanno bisogno?” perché è convinto che sarebbe più giusto, da parte dello scrittore, domandarsi “di che cosa ho bisogno io?” nella convinzione che ciò che non lo coinvolge profondamente non coinvolgerà neppure i lettori.
“Dobbiamo scrivere per i bambini con gli elementi dell’immaginazione che abbiamo in comune con loro, differenziandoci per il fatto di avere altri interessi che i bambini non condividono…Dobbiamo rivolgerci ai bambini come a nostri pari, sfruttando quella parte della natura umana in cui siamo loro pari” senza timore di infantilismo o di effetti di involontaria comicità, senza voler recitare la parte del Destino o della Provvidenza.

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I bambini imparano ciò che vivono

Questo brano è molto citato, ma mi piace e desidero riproporlo qui. Non sono riuscita a trovare notizie sull’autrice. E temo si riuscirà anche a trovar poche notizie sul fatto che si riesca a mettere in pratica questi consigli.

Se il bambino vive nella critica,impara a condannare.

Se vive nell’ostilità, impara ad aggredire.

Se vive nell’ironia, impara la timidezza.

Se vive nella vergogna, impara a sentirsi colpevole.

Se vive nella tolleranza, impara ad essere paziente.

Se vive nell’incoraggiamento, impara la fiducia.

Se vive nella lealtà, impara la giustizia.

Se vive nella disponibilità, impara ad avere fede.

Se vive nell’approvazione, impara ad accettarsi.

Se vive nell’accettazione e nell’amicizia, impara a trovare l’amore nel mondo.

(Doretj Law Nolte)

Bambino

Girotondo dei dodici fratelli

Nei primi giorni di questo nuovo anno vi propongo una poesia di Diego Valeri sui mesi, tratta dalla raccolta del 1928 Il Campanellino Il campanellino

Ogni due anni a Piove di Sacco, il suo paese natale in provincia di Padova, si tiene un premio di poesia a lui dedicato.

Girotondo girotondo, quanti sono? Una dozzina.
La girandola mulina senza posa intorno al mondo.
Quello lì che a stento arranca, tetro, livido, ingrugnato, striminzito, infagottato nella sua mantella bianca, é GENNAIO, il primogenito della bella fratellanza, che ogni passo della danza batte i denti e manda un gemito.
Tien per mano il più piccino della schiera, e il più furbetto, FEBBRARIN carnevaletto, detto pure ventottino.
Lo vedete quant’è buffo nel vestito d’arlecchino?
Lo vedete il birichino come ride sotto il ciuffo?
Un sentore di viole, ecco MARZO pazzerello, piedi nudi, giubberello, viso al vento e riso al sole.
E’ una gioia rivederlo e se a tratti si fa mesto pur si rasserena presto e fischietta come un merlo.
Si trascina presso un bimbo, dolce, pallido, gentile, pratolino, ovvero APRILE che di foglie ha in capo un limbo.
Bello e caro è quel biondino, ma più bello e più lucente, ma più caro e più ridente è questo qui che gli è vicino.
MAGGIO, eterno amor del mondo, per guardarti, per goderti si vorrebbe trattenerti arrestando il girotondo.
Lascia almeno che odoriamo le tue rose inebrianti, benedici tutti quanti con quel tuo fiorito ramo.
Sei già andato, ecco al tuo posto sopraggiungere i fratelli, tuoi più simili gemelli, GIUGNO, LUGLIO, AGOSTO.
SETTEMBRE, occhi di sogno, cuore di malinconia, spande intorno una malia che ha il profumo di codogno.
Malinconica non pare quella faccia rubiconda che vien dopo, ed è gioconda la canzon odo cantare.
Sangue chiaro, sangue fosco dalla vigna noi beviamo, l’un con l’altri salvi siamo, matto OTTOBRE ti conosco.
Tien NOVEMBRE un ramo secco all’occhiello del gabbano e DICEMBRE nella mano più non reca che uno stecco.
Nei tasconi del lor saio recan pene amare e bene, ma vedete ora chi viene? Di bel novo è qui GENNAIO!
Girotondo girotondo, sono dodici ragazzi, buoni, tristi, savi e pazzi, c’è di mezzo il vecchio mondo.

Buon anno!

Lettera ad un figlioSe puoi vedere distrutto il lavoro di tutta la tua vita
e senza dire una parola ricominciare,Ghirlandase puoi perdere i guadagni di cento partite
senza un gesto e senza un sospiro di rammarico,

se puoi essere un amante perfetto
senza che l’amore ti renda pazzo,

se puoi essere forte senza cessare di essere tenero
e sentendoti odiato non odiare, pur lottando e difendendoti.

Se sai meditare, osservare, conoscere,
senza essere uno scettico o un demolitore,
sognare senza che il sogno diventi il tuo padrone,
pensare senza essere soltanto un pensatore,

se puoi essere sempre coraggioso e mai imprudente,

se tu sai essere buono e saggio,
senza diventare né moralista, né pedante.

Se puoi incontrare il Trionfo e la Disfatta
e ricevere i due mentitori con fronte eguale,

se puoi conservare il tuo coraggio e il tuo sangue freddo
quando tutti lo perdono,

allora i Re, gli Dei,la Fortuna, la Vittoria
saranno per sempre tuoi sommessi schiavi
e, ciò che vale meglio dei Re e della Gloria,
tu sarai un uomo.

Rudyard Kipling

Buon 2007 a tutti

Il Mago di Natale

Il mago di Natale

 

S’io fossi il mago di Natale

farei spuntare un albero di NataleAlbero di natale

in ogni casa, in ogni appartamento

dalle piastrelle del pavimento,

ma non l’alberello finto,

di plastica, dipinto

che vendono adesso all’Upim:

un vero abete, un pino di montagna,Abete con neve

con un po’ di vento vero

impigliato tra i rami,

che mandi profumo di resina

in tutte le camere,

e sui rami i magici frutti: regali per tutti.

 

Poi con la mia bacchetta me ne andreiBacchetta magica

a fare magie

per tutte le vie.

 

In via Nazionale

farei crescere un albero di Natale

carico di bambole

d’ogni qualità,

che chiudono gli occhiBambola

e chiamano papà,

camminano da sole,

ballano il rock an’roll

e fanno le capriole.

Chi le vuole, le prende:

gratis, s’intende.

 

In piazza San CosimatoCioccolato

faccio crescere l’albero

del cioccolato;

in via del TritonePanettone_2

l’albero del panettone

in viale Buozzi

l’albero dei maritozzi,Maritozzo

e in largo di Santa Susanna

quello dei maritozzi con la panna.

 

Continuiamo la passeggiata?

La magia è appena cominciata:

dobbiamo scegliere il postoTrenino

all’albero dei trenini:

va bene piazza Mazzini?

 

Quello degli aeroplaniAeroplanino

lo faccio in via dei Campani.

 

Ogni strada avrà un albero speciale

e il giorno di Natale

i bimbi farannoRoma

il giro di Roma

a prendersi quel che vorranno.

 

Per ogni giocattolo

colto dal suo ramoGiocattoli

ne spunterà un altro

dello stesso modello

o anche più bello.

 

Per i grandi invece ci saràCappotti

magari in via Condotti

l’albero delle scarpe e dei cappotti.Scarpe

Tutto questo farei se fossi un mago.

 

Però non lo sono

che posso fare?

Non ho che auguri da regalare:

di auguri ne ho tanti,Auguri

scegliete quelli che volete,

prendeteli tutti quanti.

 Gianni Rodari

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