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Dall’11 al 14 ottobre si è tenuto a Roma il primo salone della letteratura per ragazzi, nel centro culturale Elsa Morante.
Naturalmente non mi sono lasciata sfuggire l’occasione e vi ho trascorso un paio d’ore in attenta esplorazione dei libri presentati, facendo alcune scoperte interessanti.
Di una voglio parlarvi oggi, dopo aver letto la storia con piacere e con partecipazione.
Diciamo subito che esula dalle mie letture abituali perché si tratta di un fumetto. Non mi piace la definizione graphic novel e perciò non la userò.
Autore della storia, che si intitola Rughe, è il giovane valenciano Paco Roca (1969) considerato uno dei più validi autori contemporanei del genere.
Questa sua opera è pluripremiata e con tutti i meriti. Rughe ha cominciato a riscuotere consensi nel 2007, aggiudicandosi il premio come miglior fumetto e miglior sceneggiatura al Salone Internazionale del Fumetto di Barcellona; l’anno successivo sì è aggiudicata ben tre riconoscimenti: miglior fumetto secondo il Diario de Avisos e al Premio Nazionale di Spagna, e miglior opera lunga al Lucca Comics. Nel 2009 ha ricevuto il Gran Premio Romics come miglior libro a fumetti e l’autore nel 2013 ha ricevuto il Romics d’Oro.
Ciò che rende interessante e coinvolgente la storia è la scelta dell’argomento: Paco Roca ci racconta con parole e immagini il progressivo deteriorarsi della vita di Emilio, direttore di banca in pensione, che viene ricoverato dal figlio in una casa di cura. I familiari sono esasperati dai suoi scatti, dai suoi vuoti di memoria, dalle sue fissazioni. Durante la degenza nella casa di cura Emilio deve fare i conti con l’amara realtà: il quotidiano degenerare della sua vita non è semplicemente dovuto all’incalzare dell’età, ma è il primo manifestarsi del morbo di Alzheimer, che gli sta togliendo poco alla volta, giorno per giorno, i ricordi, ma che lui ancora ignora.

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In questo senso è struggente e bellissima l’immagine di copertina, che ci mostra i ricordi di Emilio fuggire dalla sua testa come sbiadite fotografie in balia del vento.

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Nella casa di cura Emilio conosce la dura e sgradevole realtà della vita di un anziano “parcheggiato” e spesso dimenticato dai familiari, che si presentano per una fugace visita solo in occasione del Natale.

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Il mentore di Emilio nella nuova realtà di vita è il cinico e disincantato Miguel senza legami affettivi e familiari, che non esita ad approfittarsi della debolezza degli altri compagni di sventura. Così Emilio sprofonda giorno dopo giorno in una realtà fatta di medicinali e di lunghe ore a sonnecchiare in poltrona o davanti al televisore, perennemente sintonizzato su un canale che trasmette documentari sulla vita degli animali, consapevole del disagio degli stessi infermieri che si prendono cura di loro.
La loro vita si svolge al primo piano tutta all’insegna dello sforzo di evitare il trasferimento al secondo, spauracchio di tutti i ricoverati in quanto è il desolato approdo di chi cede del tutto alla malattia e non è più in grado di badare a se stesso in autonomia.

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In un drammatico colloquio con il medico della struttura Emilio prende coscienza per la prima volta del suo male e scopre di trovarsi nella prima fase dal’incalzare rapido e devastante.
Emilio però non vuole cedere, ricorre all’aiuto di Miguel e a ogni tipo di espediente per aiutare la memoria sempre più debole: cerca di leggere per molte ore il giorno, appunta disegni e parole sui vestiti e sugli oggetti, si scrive le risposte nel palmo della mano per cercare di superare i periodici test del medico.

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Mentre vede i compagni di sventura via via cedere e sprofondare, sparendo al secondo piano, Emilio tenta persino la fuga con Miguel, che è riuscito a procurare una macchina, e con Antonia, ma l’esperienza finisce piuttosto male.
Non voglio togliervi il gusto della lettura andando avanti nella narrazione.

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L’abilità di Paco Roca sta nell’aver saputo trattare l’argomento di questa malattia con delicatezza, con sentimento e anche con un po’ di delicato umorismo, dalla mancanza di memoria alla mancanza di affetto e di contatto con la realtà.
Lo stile grafico è nitido, ma morbido e mi ha ricordato le tavole del fumettista belga Hergè, il papà di Tin Tin, mentre la narrazione è un sapiente alternarsi di momenti che fanno sorridere, sia pure con un fondo di amarezza, e di momenti che toccano il cuore, il tutto in una malinconia che però non cede alla disperazione.

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Una bellissima lettura consigliata agli adolescenti, ma anche agli adulti, che vogliano accostarsi in modo insolito ma veritiero alla dura realtà del morbo di Alzheimer.

Paco Roca
Nov 01, 2013 @ 15:57:18
Mi era sfuggito questo evento, peccato!
Ho notato che gli artisti spagnoli del cinema e della letteratura sui 30-40 anni, hanno particolare attenzione ai temi sociali e questo è incoraggiante sia per la loro società in generale, che per l’arte, perché la rende qualcosa che va oltre il mero intrattenimento – per quanto nobile – e la eleva a qualcosa di duraturo. I disegni mi piacciono proprio, i vecchietti sono buffissimi.Se lo trovo lo compro anche perché per essere una storia a fumetti non è caro.
Grazie di avercene parlato!
Jen
Nov 02, 2013 @ 12:52:23
Ti ringrazio per l’intervento. Un po’ di tempo fa ho recensito un altro libro sull’argomento, stavolta dal punto di vista del bambino. Se ti fa piacere, puoi leggere qui:
https://annaritaverzola.wordpress.com/2012/11/13/la-maglia-del-nonno/
un cordiale saluto