Autore:Leonardo da Vinci
Adattamento: Bruno Nardini
Illustrazioni: Adriana Saviozzi Mazza
Editore: Giunti Junior, 2009
Prezzo: euro 14,90
Età di lettura: dai sei anni
Questo ricco volume illustrato è stato ricavato da due precedenti edizioni: Animali Fantastici (Giunti-Nardini, 1972) e Favole e leggende (Giunti-Nardini, 1974) per offrire ai piccoli lettori un ampio panorama degli scritti di quell’artista poliedrico che fu Leonardo da Vinci. I più grandi lo conoscono come il pittore innovativo e il genio creatore di strabilianti macchine avveniristiche, come l’autore di imponenti trattati, progetti e raccolte di appunti tecnici.
Ora i lettori più piccoli, attraverso l’adattamento di Bruno Nardini, potranno accostarsi alla prosa di Leonardo autore di aforismi e favole di grande arguzia e vivacità, oltre che di spessore morale, mai moralistico. Si ritiene che la stesura di queste favole e leggende sia avvenuta nell’ultimo decennio del XV secolo. Protagonista assoluta è la natura in tutte le sue formi, reali e mitologiche, che prende la parola per narrare, insegnare, istruire e divertire, ma senza mai il tono sussiegoso dell’adulto che salga in cattedra per ammaestrare.
Qui potete trovare le favole di Leonardo nella versione originale.
Intanto ve ne propongo alcune, affiancando l’adattamento di Bruno Nardini e arricchendole con le belle immagini di Adriana Saviozzi Mazza.
Favole
Il ragno (XXXIII)
Il ragno credendo trovar requie nella buca della chiave, trova la morte.
Il ragno nella buca della chiave
(Atl. 299 v.b.)
Un ragno, dopo aver esplorato tutta la casa, di fuori e di dentro, pensò di rintanarsi nel buco della serratura. Che rifugio ideale! Chi lo avrebbe mai scoperto, lì dentro?
Lui, invece, affacciandosi sull’orlo della toppoa, avrebbe potuto guardare dappertutto senza correre alcun rischio.
“Lassù – diceva fra sé, sbirciando la soglia di pietra – tenderò una rete per le mosche; quaggiù – aggiungeva scrutando lo scalino – ne tenderò un’altra per i bruchi; qui, vicino al battente dell’uscio, farò una piccola trappola per le zanzare.”
Il ragno gongolava. Il buco della serratura gli dava una sicurezza nuova, straordinaria; così stretto, buio, foderato di ferro, gli sembrava più inattaccabile di una fortezza, più sicuro di qualsiasi armatura.
Mentre si crogiolava in questi pensieri, gli giunse all’orecchio un rumore di passi: allora, prudente, si ritirò in fondo al suo rifugio.
Qualcuno stava per entrare in casa; una chiave tintinnò, s’infilò nel buco della serratura e lo schiacciò.
Il lilio e la corrente del fiume (XXXIV)
Il lilio si pose sopra la ripa di Tesino, e la corrente tirò la ripa insieme col lilio.
Il giglio
(H. 44 r.)
Sulla verde riva del fiume Ticino era cresciuto un bel fiore di giglio. Alto e dritto sullo stelo, il fiore rispecchiava i suoi bianchi petali nell’acqua; e l’acqua se ne volle impadronire.
Ogni onda che passava, portava con sé l’immagine di quella bianca corolla, e trasmetteva il proprio desiderio alle onde che dovevano ancora arrivare a vederlo.
Così tutto il fiume incominciò a fremere, le onde diventarono inquiete e veloci; e non potendo cogliere il giglio, ben piantato nel suolo e così alto sullo stelo robusto, si avventarono furiose contro la sponda, finché la piena non trascinò giù tutta la riva, insieme al giglio puro e solitario.
La pianta, il palo e i pruni (LII)
La pianta si dole del palo secco e vecchio, che se l’era posto allato, e de’ pruni secchi che lo circundano: l’un lo mantiene diritto, l’altro lo guarda dalle triste compagnie.
La pianta e il palo
(Fo. III 47 v.)
Una pianta, che cresceva rigogliosa innalzando nel cielo il suo pennacchio di tenere foglie, mal sopportava, accanto a sé, la presenza di un palo diritto, secco e vecchio.
“Palo, tu mi stai troppo addosso. Non potresti andare più in là?”
Il palo fece finta di non aver udito e non rispose. Allora la pianta si rivolse alla siepe di pruni che la circondava:
“Siepe, non potresti andare in qualche altro posto? Tu mi dai noia.”
La siepe fece finta di non aver udito, e non rispose.
“Bella pianta – disse allora una lucertola alzando il capino e guardandola di sotto in su – ma non lo vedi che il palo ti fa stare ritta? Non ti accorgi che la siepe ti difende dalle brutte compagnie?”
La vitalba scontenta (XV)
La vitalba, non istando contenta nella sua siepe, cominciò a passare co’ sua rami la comune strada e appiccarsi all’opposita siepe; onde da’ viandanti poi fu rotta.
La vitalba
(Atl. 67 v.b.)
Nell’ombra della siepe, la vitalba attorcigliava i suoi verdi bracci intorno ai tronchi e ai rami del biancospino. Arrivata in cima si guardò attorno, e vide un’altra siepe che fiancheggiava l’altra parte della strada.
“Come mi piacerebbe arrivare fin là” disse la vitalba. “Quella siepe è più bella e più grande di questa.”
E un po’ per volta, protendendo le braccia, si avvicinava ogni giorno di più alla siepe di fronte. Finalmente la raggiunse, si allacciò a un ramo e incominciò felice ad avvilupparglisi intorno. Ma poco dopo, per quella strada, passarono dei viandanti, che si trovarono, all’improvviso, di fronte a quel ramo di vitalba che sbarrava la via. Allora, con le mani, lo spezzarono, lo strapparono via dalla siepe e lo buttarono nel fosso.
L’ostrica, il topo e la gatta (XXXV)
Sendo l’ostriga insieme colli al[tri] pesci in casa del pescatore scaricata vicino al mare, priega il ratto che al mare la conduca. Il ratto, fatto disegno di mangiarla, la fa aprire e mordendola, questa li serra la testa e sì lo ferma. Viene la gatta e l’uccide.
L’ostrica e il topo
(H. 51 v.)
Un’ostrica si ritrovò, insieme a tanti altri pesci, dentro la casa di un pescatore, poco distante dal mare.
“Qui si muore tutti” pensò l’ostrica guradando i suoi compagni che boccheggiavano per terra.
Passò un topo.
“Topo, ascolta!” disse l’ostrica. “Mi porteresti, per favore, fino al mare?”
Il topo la guardò: era un’ostrica bella e grande, e doveva avere una bella polpa sostanziosa.
“Certo – rispose il topo, che aveva oramai deciso di mangiarsela – però ti devi aprire perché non posso trasportarti così chiusa.”
L’ostrica si dischiuse con cautela, e il topo, subito, ci ficcò dentro il muso per addentarla. ma, nella fretta, il topo la mosse un po’ troppo, e l’ostrica si richiuse di scatto imprigionando la testa del roditore.
Il topo strillò. la gatta lo udì. Accorse con un balzo e lo mangiò.
La triste morte di un granchio (XXXVII)
El granchio stando sotto il sasso per pigliar e pesci che sotto a quello entravano, venne la piena con rovinoso precipitamento di sassi, e collo rotolarsi sfracelloron tal granchio.
Il granchio
(Ar. 42 v.)
Un granchio si accorse che molti pesciolini, anziché avventurarsi nel fiume, preferivano aggirarsi prudenti intorno a un masso. L’acqua era limpida come l’aria, e i pesci nuotavano tranquilli godendosi l’ombra e il sole.
Il granchio attese la notte, e quando fu sicuro che nessuno lo avrebbe visto, andò a nascondersi sotto il masso.
Da quel nascondiglio, come un orco dalla sua tana, spiava i pesciolini, e quando gli passavano vicino li acciuffava e li mangiava.
“Non è bello ciò che stai facendo” brontolò il masso. “Approfitti di me per uccidere questi poveri innocenti”.
Il granchio non lo ascoltò nemmeno. Felice e contento seguitava a catturare i pesciolini trovandoli di un sapore prelibato.
Ma un giorno, all’improvviso, venne la piena. Il fiume si gonfiò, investì con grande forza il masso, che rotolò nel letto del fiume, schiacciando il granchio che gli stava sotto.
Leggende
Il leone
(Lione H.18 r.)
I cuccioli non avevano ancora aperto gli occhi. Da tre giorni stavano fra le zampe di mamma leonessa, muovendosi a tentoni solo per cercare il latte, insensibili a qualunque richiamo.
Il leone, in disparte, li guardava.
Ad un tratto si alzò, e scuotendo la bella criniera emise un ruggito possente, tonante.
I cuccioli spalancarono subito gli occhi, mentre tutte le fiere della savana fuggivano terrorizzate.
E come il leone, che desta i suoi piccoli con un altissimo grido, così la giusta lode risveglia le assopite virtù dei nostri figli; incitandoli a studiare con onore, essa mette in fuga ciò che non è bello e ciò che non è buono.
Il pavone
(Vanagloria H. 10 r.)
Sperava di tornare presto, ma i giorni passavano senza che lui si facesse vedere. Gli animali del cortile avevano fame e sete; perfino il gallo non cantava più.
Stavano tutti immobili, per non consumare le forze, sotto l’ombra di una pianta.
Soltanto il pavone, anche quel giorno, si levò barcollando sulle zampe, aprì a ventaglio la sua grande e variopinta coda, e incominciò a passeggiare avanti e indietro.
“Mamma – domandò la magra gallinella alla chioccia – perché il pavone fa la ruota tutti i giorni?”
“Perché è vanesio, figlia mia; e l’ambizione è un vizio che scompare soltanto con la morte.”
Il bruco
(Bruco – Della virtù in generale H. 17 v.)
Fermo sopra una foglia il bruco guardava intorno: chi cantava, chi saltava, chi correva, chi volava; tutti gli insetti erano in continuo movimento. Lui solo, poveretto, non aveva voce, non correva e non volava. Con grande fatica riusciva a muoversi, ma così piano, che quando passava da una foglia all’altra gli sembrava di aver fatto il giro del mondo.
Eppure non invidiava nessuno. Sapeva di essere un bruco, e che i bruchi devono imparare a filare una bava sottilissima per tessere, con arte meravigliosa, la loro casetta. Perciò, con molto impegno, incominciò il suo lavoro.
In breve tempo il bruco si trovò chiuso in un tiepido bozzolo di seta, isolato dal resto del mondo.
“E ora?” si chiese.
“Ora aspetta” gli rispose una voce. “Ancora un po’ di pazienza e vedrai”.
Al momento giusto il bruco si destò, e non era più un bruco. Uscì fuori dal bozzolo, con due ali bellissime, dipinte di vivaci colori, e subito si levò alto nel cielo.
La talpa
(Bugia H. 9 v.)
Una talpa, sottoterra, passeggiava per le lunghe gallerie che la sua famiglia aveva scavato e ripulito in tanti anni di lavoro. Andava avanti e indietro, saliva ai piani superiori, scendeva nelle cantine come se avesse avuto una vista buonissima; invece, come tutte le talpe, aveva gli occhi molto piccoli e poca vista.
Finalmente s’infilò in un cunicolo sconosciuto e seguitò a camminare.
“Fermati” gridò una voce dal piano di sotto. “Codesta galleria porta fuori, è pericolosa!”
La talpa, invece, continuò ad andare su, finché non si trovò dentro a un mucchio di terriccio ancora fresco.
Spinse il muso in alto e sbucò fuori, ma la luce del sole, come il bagliore di un fulmine, la uccise.
Anche la bugia, come la talpa, può vivere soltanto se rimane nascosta; non appena essa viene alla luce per farsi notare, muore.
La lumerpa
(Lumerpa: fama H 12 v.)
Nelle solitarie montagne dell’Asia vive un uccello meraviglioso. Il suo canto è dolcissimo, il suo volo maestoso. Il suo corpo non fa ombra perché le sue piume e le sue penne risplendono di tanta luce da uguagliare quella del sole.
Anche da morto questo uccello sembra vivo: infatti il suo corpo non si corrompe e le sue penne luminose continuano a risplendere come quando era vivo.
Però, se qualcuno osa staccare una penna per farsi luce, questa si spenge immediatamente.
Questo uccello rarissimo si chiama lumerpa; ed è simile alla fama, che rimane intatta e continua a risplendere anche dopo la morte, e che nessuno può usurpare.
Facezie
Il seguace di Pitagora
Uno volendo provare colla alturità di Pitagora come altre volte lui era stato al mondo, e uno non li lasciava finire il suo ragionamento, allo costui disse a questo tale: “E per tale segnale che io altre volte ci fussi stato, io mi ricordo che tu eri mulinaro”. Allora costui, sentendosi mordere colle parole, gli confermò essere vero, che per questo contrassegno lui si ricordava che questo tale era stato l’asino, che li portava la farina.
Il mugnaio e l’asino
(M. 58 v.)
Un tale voleva dimostrare di essere già stato altre volte in questo mondo, e per avvalorare la sua affermazione citava il filosofo Pitagora; ma un altro, interrompendolo di continuo, non gli lasciava finire il discorso.
Allora il primo disse all’altro:
“E a dimostrazione di esserci stato altre volte, mi ricordo che tu, nella vita precedente, eri un mugnaio.”
Allora l’altro, sentendosi mordere da quelle parole, gli rispose:
“È vero. Hai ragione. Quello che ora tu mi dici, mi fa ricordare che eri proprio tu quell’asino che portava la farina al mio mulino.”
Un frate e il mercante
Usano i frati minori, a certi tempi, alcune loro quaresime, nelle quali essi non mangiano carne ne’ lor conventi; ma in viaggio, perché essi vivano di limosine, hanno licenzia di mangiare ciò che è posto loro innanzi. Onde, abbattendosi in detti viaggi una coppia d’essi frati a un’osteria in compagnia d’un certo me[r]cantuolo, il quale, essendo a una medesima mensa, alla quale non fu portato, per la povertà dell’ostieri, altro che un pollastro cotto, onde esso mercantuolo, vedendo questo essere poco per lui, si volse a essi frati, e disse: “Se io ho ben di ricordo, voi non mangiate in tali dì ne’ vostri conventi d’alcuna maniera di carne”. Alle quali parole i frati furono costretti, per la loro regola, sanza altre gavillazioni, a dire ciò essere la verità: onde il mercantetto ebbe il suo desiderio; e così si mangiò essa pollastra, e i frati feciono il meglio poterono.
Ora, dopo tale desinare, questi commensari si partirono tutti e tre di compagnia; e dopo alquanto di viaggio, trovati un fiume di bona larghezza e profondità, essendo tutti tre a piedi – i frati per povertà e l’altro per avarizia -, fu necessario, per l’uso della compagnia, che uno dei frati, essendo discalzi, passassi sopra i suoi omeri esso mercantuolo: on[de] datoli il frate a serbo i zoccoli, si caricò di tale omo.
Onde accadde che, trovandosi esso frate in mezzo del fiume, esso ancora si ricordò de la sua regola; e fermatosi, a uso di San Cristofano, alzò la testa inverso quello che l’aggravava, e disse: “Dimmi un poco, hai tu nessun dinari addosso?”.“Ben sai”, rispose questo,” come credete voi che la mia pari mercatante andassi altrementi attorno?” “Oimè!”, disse il frate, “la nostra regola vieta che noi non possiano portare danari addosso.” E subito lo gettò nell’acqua. La qual cosa, conosciuta dal mercatante facetamente la già fatta ingiuria essere vendicata, con piacevole riso, pacificamente, mezzo arrossito per vergogna, la vendetta sopportò.
Obbedienza alla regola
(Atl. 150 v.b.)
I frati minori, in certi periodi dell’anno, usano far vigilia come di quaresima, e durante quei giorni, in convento, non mangiano carne, ma quando sono in viaggio, siccome vivono di elemosina, hanno licenza di mangiare tutto ciò che la provvidenza mette loro nel piatto.
Ora avvenne che una coppia di questi frati, essendo in viaggio, s’imbatté per caso all’osteria con un mercantuolo da strapazzo che sedeva alla stessa tavola.
L’oste, che era povero e senza provviste, non aveva da mettere sul fuoco alcro che un pollastrello poco più grosso di un piccione; e quando fu cotto lo portò in tavola perché i tre commensali se lo dividessero.
Il mercantuolo, giudicando che quel pollo non sarebbe bastato neanche a lui solo, si rivolse ai frati e disse:
“Se ricordo bene, voi, in questo periodo, fate vigilia, e nei vostri conventi non mangiate carne.
A queste parole i frati furono costretti, per la loro regola, ad ammettere che era vero, senza star troppo a sottilizzare sulle eccezioni per chi era in viaggio; e così il furbo mercantuccio si mangiò tutto il pollastrello e i frati si dovettero contentare di un po’ di pane e di una crosta di formaggio.
Dopo aver desinato, i commensali ripartirono tutti e tre insieme; e fatte alquante miglia di strada trovarono un fiume abbastanza largo e profondo. Erano tutti e tre a piedi – i frati per la povertà e l’altro per l’avarizia – sicché fu necessario, com’era in uso a quei tempi, che uno dei frati, essendo scalzo, prendesse sulle spalle quel mercantuolo: e perciò, dopo avergli dato da tenere in mano gli zoccoli, il frate più robusto se lo caricò addosso: ma quando fu nel mezzo del fiume, il frate si ricordò della sua regola, e fermandosi come un san Cristoforo, alzò la testa verso l’uomo che gli pesava sulle spalle e disse:
“Dimmi un po’, tu non avrai mica del denaro addosso?”
“Che domanda!” rispose quello. “Lo dovresti sapere anche da te. Vorresti forse che un mercante serio come me andasse in giro senza denari?”
“Ahimè!” esclamò il frate. “La nostra regola ci vieta di portare denaro addosso.” E così dicendo lo buttò nell’acqua.
Il mercante, bagnato da capo a piedi, ammise che la vendetta dei frati all’ingiuria subita a tavola era giusta, e arrossendo un po’ per la vergogna prese la cosa a ridere.
Set 26, 2010 @ 07:24:00
Alcune le avevo lette anni fa, in originale. Quanta fantasia in queste storie. La fantasia che è la casa comune del ricercatore e del poeta. Grazie per questa bella proposta. Buona domenica
Set 26, 2010 @ 08:27:00
da Giuliano:Un libro molto bello, belle le immagini e ben fatte anche le "traduzioni". Io però ho pensato che queste osservazioni, leone a parte, Leonardo le poteva fare anche solo uscendo di casa – e intendo Milano!Oggi un bambino queste osservazioni non le potrebbe più fare, e nemmeno qui da me: hanno costruito ovunque, chi non abita qui (a 35-40 Km da Milano) non riuscirà a rendersene conto. Un vero scempio.Mio padre (classe 1926) mi diceva che qui in giro c'erano i gamberi di fiume, e tanti…il mondo era ancora in gran parte quello di Leonardo.Ma anche per me è cambiato tanto, è diventato un problema perfino trovare le erbacce…(diserbanti, cemento, asfalto).Temo che i Leonardo del futuro faranno le fiabe con i personaggi dei videogiochi.
Set 26, 2010 @ 08:27:00
da Giuliano:Un libro molto bello, belle le immagini e ben fatte anche le "traduzioni". Io però ho pensato che queste osservazioni, leone a parte, Leonardo le poteva fare anche solo uscendo di casa – e intendo Milano!Oggi un bambino queste osservazioni non le potrebbe più fare, e nemmeno qui da me: hanno costruito ovunque, chi non abita qui (a 35-40 Km da Milano) non riuscirà a rendersene conto. Un vero scempio.Mio padre (classe 1926) mi diceva che qui in giro c'erano i gamberi di fiume, e tanti…il mondo era ancora in gran parte quello di Leonardo.Ma anche per me è cambiato tanto, è diventato un problema perfino trovare le erbacce…(diserbanti, cemento, asfalto).Temo che i Leonardo del futuro faranno le fiabe con i personaggi dei videogiochi.
Set 26, 2010 @ 18:21:00
Come se,pre sai proporci bellissime pagine. Grazie, Annarita. Un abbraccio
Set 26, 2010 @ 18:21:00
Come se,pre sai proporci bellissime pagine. Grazie, Annarita. Un abbraccio
Set 29, 2010 @ 17:28:00
Grazie, Maurizio, condivido il tuo pensiero.Hai ragione, Giuliano, i nostri piccoli oggi vengono portati a visitare le fattorie come se si trattasse di una sorta di zoo. Anche io ho bei ricordi di vaste campagne a due passi da casa mia. Quando la mamma ci portava a passeggio il pomeriggio, in un attimo eravamo immerse nel verde intorno alle marcite e alle risorgive. Sai che mi ricordo ancora le minuscole ranocchie verdi che trovavo a profusione nell'erba? E quante coccinelle…. Credo che oggi anche Leonardo sarebbe messo a dura prova dal progresso!Giulia o Annita? Magari un'altra amica ancora, in ogni caso, grazie e abbraccio ricambiato!Salutissimi a tutti Annarita
Set 29, 2010 @ 17:28:00
Grazie, Maurizio, condivido il tuo pensiero.Hai ragione, Giuliano, i nostri piccoli oggi vengono portati a visitare le fattorie come se si trattasse di una sorta di zoo. Anche io ho bei ricordi di vaste campagne a due passi da casa mia. Quando la mamma ci portava a passeggio il pomeriggio, in un attimo eravamo immerse nel verde intorno alle marcite e alle risorgive. Sai che mi ricordo ancora le minuscole ranocchie verdi che trovavo a profusione nell'erba? E quante coccinelle…. Credo che oggi anche Leonardo sarebbe messo a dura prova dal progresso!Giulia o Annita? Magari un'altra amica ancora, in ogni caso, grazie e abbraccio ricambiato!Salutissimi a tutti Annarita