L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza

 

LocandinaIl titolo è un eufemismo.
Lo si capisce  subito dal nervosismo con cui la giovane Bia passeggia tra le valige pronte e la finestra, fumando una sigaretta dopo l’altra. Il marito Daniel è in ritardo e ogni tanto Bia si volta a sollecitare il figlio dodicenne affinché metta via tutto ciò che ha sul tavolo e si tenga pronto. Il piccolo Mauro invece non sembra avere nessuna fretta, continua a sistemare con cura il pacchetto di sigarette che funge da portiere e si appresta a tirare la pedina in porta. Finalmente Daniel arriva, trafelato, e la famigliola è pronta per partire. Mauro ha appena il tempo di un ultimo tiro con il papà e poi di sistemare le porte e le pedine del sacchetto. Si parte. Bia e Daniel cercano di reprimere la tensione, ma lungo la strada che li porta da Belo Horizonte a San Paulo si vedono camion militari.
E sì, perchè siamo nel Brasile del 1970, il fatidico anno dei  mondiali di calcio, e il paese è schiacciato dalla dittatura e pure se non viene detto esplicitamente, intuiamo che Bia e Daniel devono scappare per motivi politici, come tanti in quegli anni.
Ma questo Mauro non lo sa, la sua testolina di dodicenne è piena di entusiasmo per la formazione della nazionale di calcio e per la possibilità che conquisti il titolo mondiale per la terza volta.
Il viaggio della piccola famiglia si conclude nel colorito e rumoroso quartiere multietnico di Bom Retiro e i genitori lasciano il piccolo Mauro davanti al condominio in cui abita il nonno paterno Mòtel, al quale sarà affidato. La separazione è dura, Bia piange, non si decide a lasciare il figlio, Daniel la sollecita e continua a ripetere a Mauro di rispondere a chiunque glielo chieda che loro due sono andati in vacanza.1212595746022_genitori04_hires

Mauro guarda la Volkswagen azzurra dei genitori allontanarsi e poi  si decide a salire e a suonare alla porta del nonno. Ma il tempo passa e nessuno gli risponde. Il destino ha deciso diversamente. Mòtel è morto d’infarto quella mattina.Nonno MothelÈ l’anziano vicino di casa Shlomo, impiegato nella sinagoga,  a trovare Mauro sul pianerottolo  e ad occuparsi di lui nell’immediato. Difficile l’inizio della forzata convivenza tra un anziano scapolo, scrupoloso ebreo praticante, e il piccolo Mauro ammalato di nostalgia per i genitori. Oltretutto Shlomo scopre con orrore che il ragazzino, pur essendo figlio e nipote di ebreo, non è mai stato circonciso e il suo sconforto aumenta. Il rabbino e tutta la comunità lo esortano a rispondere alla chiamata divina e a continuare a prendersi cura del bambino, che viene ribattezzato Moishele. A questo proposito Mauro interroga una vicina di casa, la quale gli racconta la storia del piccolo Mosè salvato dallae acque dalla figlia del faraone, e da quel momento in poi non può fare a meno di sorridere ogni volta in cui guarda il vecchio e burbero Shlomo, assai improbabile in quel ruolo biblico.

Shlomo

Tra alti e bassi la vita di Mauro prosegue: ospitato a turno dalle famiglie del palazzo il piccolo fa la conoscenza del nutrito e varipinto mondo del quartiere in cui convivono pacificamente persone di varie nazionalità. Entrano così a far parte della sua vita la piccola Hanna, deliziosa coetanea ebrea con uno spiccato talento per gli affari che attua grazie al negozio di abbigliamento gestito dalla madre (ha praticato dei fori sulle pareti delle cabine di prova degli abiti e i suoi compagni pagano per guardarvi attraverso);Anna la splendida Irene di origine greca, sogno proibito degli adolescenti del quartiere, segretamente fidanzata con Edgar, un mulatto che è anche il portiere della squadra di calcio locale (immaginate la fila dei clienti di Hanna, quando si sa che Irene andrà a provare dei vestiti?);

Irenelo studente universitario Italo, di origini italiane, coinvolto nei disordini all’università, il Rabbino e la comunità ebraica.

Italo

I mondiali cominciano  e Mauro si attacca tenacemente al ricordo della promessa dei genitori di tornare in tempo per vederli insieme, ma naturalmente non è così. L’eco dei disordini e della repressione si fa sempre più forte, ma tutti sembrano volersi stordire nell’ebbrezza delle partite di calcio, seguendo il trascinante percorso della nazionale brasiliana fino alla partita finale contro l’Italia.
Mauro non compie solo il classico percorso di formazione, è il narratore in prima persona di vicende più grandi di lui delle quali ha solo una vaga e pallida idea, tutto preso com’è tra la spasmodica attesa dei genitori e gli stupori e le curiosità che gli derivano dal trovarsi improvvisamente immerso nella composita realtà di Bom Retiro.
Tutto il film ha l’andamento di una commedia dolce-amara nella quale spesso si sorride perché le vicende sono filtrate dallo sguardo stupito del piccolo protagonista e dei suoi amici, che in una fase delicata della loro vita quale il passaggio all’adolescenza si trovano di fronte a una dura realtà più grande di loro, ma nella quale riescono a vivere con il tipico e robusto spirito di adattamento dei ragazzini. Ed è proprio uno dei maggiori pregi del regista Cao Hamburger l’esser riuscito a non annacquare il film in stereotipi o inutili sdolcinatezze o in retoriche rappresentazioni dell’adolescenza. La naturalezza e l’umorismo sono i punti di forza della vicenda, che pure non dirada mai completamente, e non potrebbe, la nube oscura della realtà quotidiana costituita dall’inquietante presenza della dittatura.I disordini studenteschi

I mondiali si concludono con la vittoria del Brasile sull’Italia e la conquista dell’ultima coppa Rimet della storia del calcio moderno e nell’eco dei festeggiamenti che si spengono Bia fa ritorno, sola. Mauro non ha bisogno di fare domande alla madre, e dietro la quieta affermazione che il papà è sempre il ritardo, come  suo solito, c’è tutto un mondo di sentimenti e di sensazioni, di parole non dette.Mauro
Grazie a Solimano che ha voluto inserire il mio post nel suo ricco blog dedicato al cinema

Fili d’aquilone n,11

È on line il nuovo numero di Fili d’aquilone.
Il tema è “Generazioni”.
Il mio piccolo contributo lo trovate qui. 

Fili11

La bambinaia francese

Adèle non si lamenta. È una brava bambina, e capisce più di quanto sarebbe augurabile. Non mi ha chiesto neppure una volta come mai siamo state cacciate dalla nostra casa, e neppure come mai voi non siete venuta a soccorrerci. Per fortuna non ha visto quando le guardie vi hanno strappata dal letto di morte del vostro padrino e vi hanno portata via.” (pag.16)
Bastano queste poche righe a suscitare curiosità e tante domande.
Il libro di cui voglio raccontarvi oggi mi è piaciuto talmente tanto che non vi priverò del gusto di scoprirlo, pagina dopo pagina, mettendo qua e là stralci della trama.
L’autore è una grande firma della letteratura per ragazzi, Bianca Pitzorno, e il titolo del libro è “La bambinaia francese.”
Cercherò piuttosto di illustrarvi, come meglio posso, il delicato meccanismo che si cela in questa storia.
Prima di tutto vi garantisco che non è solo un libro per ragazzi né solo un libro per adulti, ma neppure un ibrido tra i due generi come invece oggi avviene molto spesso con furba manovra commerciale, che strizza l’occhio a piccoli e grandi arricchendo il piatto di trovate che hanno, secondo me, la medesima funzione delle spezie in un piatto magari semplice e tradizionale.
Si usa un termine inglese in questi casi, crossover, per indicare appunto quel genere di opere tristemente fabbricate a tavolino con il solo scopo di catturare la più ampia fetta possibile di pubblico di diverse età.
Il libro di Pitzono si presta a molteplici chiavi di lettura perchè molteplici sono i livelli che lo compongono.
Ci sarà chi apprezzerà il lato puramente avventuroso, la ricchezza di colpi di scena e la trama da feuilleton.
Chi godrà a sviscerare le numerose e ricche nozioni storiche, letterarie, artistiche che sono incastonate nella vicenda; senza tuttavia avere mai la fastidiosa senzazione che l’autore si sia esibito in un virtuosismo fine a sé stesso.
Chi si perderà con gusto nell’esplorazione dei personaggi ottimamente portati alla ribalta.
Sì, perché Adéle, Sophie, Céline Varens, Edward Rochester, Bertha Mason, mrs. Fairfax,  Mary, Leah, Blanche Ingram, Grace Poole sono fuggiti dalle pagine di un altro famoso libro e in questo hanno trovato fantasioso compimento delle loro vicende. Si avete letto bene, manca solo lei e poi la lista è completa. Lei, La piccola e intrepida Jane Eyre, naturalmente.
Scrive Francesca Lazzarato a commento del libro di Pitzorno:
Ed eccolo qui il nome che ci consegna la chiave destinata ad aprire una delle tante serrature a sorpresa del testo, ecco dove abbiamo già incontrato Sophie e la sua protetta Adéle, la misteriosa Bertha imprigionata in una stanza, la fragile Céline e i fedeli servitori di Thornfield Hall: dopo qualche capitolo il libro si rivela come una personalissima rilettura del romanzo di Charlotte Brontë, i cui personaggi femminili secondari (la bambinaia, la bambina, l’amante francese, la moglie pazza), quelli trattati con maggior disprezzo in Jane Eyre, vengono alla ribalta per raccontare la propria storia da un punto di vista diverso, femminista e «giacobino», facendo fare una pessima figura al tenebroso e bugiardissimo Rochester e all’istitutrice persa in un «amore da serva» cieco davanti a qualunque difetto del suo eroe.
Ed è proprio questo far dei numerosi personaggi femminili tante “eroine” intrepide ci offre un’ulteriore chiave di lettura de “La bambinaia francese”. Infatti, commenta ancora Francesca Lazzaratto, questo ed altri libri di Pitzorno, “sono tutti connotati da una fortissima presenza femminile, sotto il segno di quello che si potrebbe definire un «eroinismo» moderno ma direttamente discendente da quello di certe scrittrici del `700 e dell’800, quale l’ha delineato e analizzato negli anni `60 la studiosa americana Ellen Moers in un libro dimenticato e bellissimo, Literary Women (Grandi scrittrici, grandi letterate, Ed. di Comunità, `79)” (libro che mi interessava da tempo, che ho avuto la fortuna di trovare proprio in questi giorni in un’antica libreria romana e che sto leggendo con molta soddisfazione).
La vicenda si svolge a cavallo tra il 1830 e il 1840 e ci immerge nel fervore culturale e politico di quegli anni.
L’autore ci proietta in un mosaico storico e letterario in cui tocchiamo con mano i sommovimenti contro i Borbone e la polemica sulla pubblica istruzione, ci troviamo coinvolti nell’operato delle società operaie di mutuo soccorso e negli aneliti della lotta contro il colonialismo e la schiavitù, facendo conoscenza con la fama di Toussaint L’Ouverture, del quale un personaggio del libro porta il nome.
Ricchissima la bibliografia in appendice, che ci dimostra l’approfondito percoroso di Pitzorno nella stesura di questo romanzo.
Una curiosità. La dedica in apertura del romanzo cita il grande mare dei Sargassi. È un preciso riferimento all’omonimo romanzo del 1966 di Jean Rhys, scrittrice di origini caraibiche, che racconta la vita e i pensieri di Bertha Mason, opera che Pitzorno stessa cita tra le prime della bibliografia come fonte di ispirazione e di incoraggiamento.
bambinaiaTitolo: La bambinaia francese

Autore: Bianca Pitzorno
Editore: Oscar Mondadori Best Sellers
Pagine. 495
Prezzo: euro 8,80

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