Einaudi ripropone il romanzo di Kenneth Grahame sempre con traduzione di Beppe Fenoglio, ma con un’introduzione affidata a un autore di attualità quale Mark Haddon.
Lo scrittore inglese ci parla del suo personale rapporto con la letteratura per ragazzi e con questo libro in particolare:
“Ho letto pochissime fiabe da piccolo. Erano soprattutto i libri sullo spazio e gli uomini preistorici e l’esplorazione degli oceani a interessarmi. Anche quando io stesso scrivevo libri per bambini, ho evitato di leggere i classici della letteratura per ragazzi. Mi sembrava più importante ricordare la mia infanzia nei suoi dettagli più vividi, piuttosto che studiare i libri che altri bambini probabilmente avevano già letto. Pertanto non ho mai letto Winnie the Pooh o Nel paese dei mostri selvaggi finché io stesso non ho avuto figli. È vero, può essere un’ammissione alquanto imbarazzante per uno scrittore, ma certamente significa che mi sono avvicinato a quei libri senza alcun preconcetto. Non possedevano alcuna rosea aurea nostalgica. E non erano neppure vecchi amici, i cui difetti si è portati a ignorare. così quando affermo che Il vento nei salici è uno dei miei libri preferiti, è esattamente ciò che intendo dire. Lo considero alla stessa stergua di Grandi speranze o di Tom Jones, poiché malgrado la sua brevità e la sua semplicità, possiede qualcosa di profondamente eccentrico che non viene meno neppure a una rilettura successiva. È anche uno di quei pochissimi libri che mi hanno fatto piangere, per ragioni che non hanno nulla che vedere con la tristezza, e che io stesso non riaesco a comprendere fino in fondo…”
Haddon sottolinea la difficoltà di comprendere appieno, allora come oggi “quanto fosse profonda la sua intrinseca stranezza, quanto ancora lo sia”.
Infatti nel 1908, anno della sua pubblicazione, la maggior parte dei recensori rimasero perplessi.
“Era forse un libro per bambini che parlava di animali? O un libro per adulti su dei bambini travestiti da animali? Soltanto Richard Middleton, in un articolo per Vanity Fair lo vide per ciò che era realmente: – Ritengo il libro di una certa rilevanza per la sua profonda comprensione della Natura e per aver saputo esprimere con delicatezza emozioni che io probabilmente, come la maggior parte dei miei simili, ritenevo essere mia esclusiva proprietà-”
Fatto sta che Talpa, Topo, Tasso e Rospo, che in nessun altro modo vorremmo e potremmo identificarli, si comportano a volte come ciò che sono, animali, e altre come ciò che non sono, esseri umani.
Continua Mark Haddon: “Nella sua essenza più profonda, Il vento nei salici parla del desiderio che ciascuno di noi ha di di sentirsi al sicuro dentro la propria casa, e di come ciò confligga con il nostro bisogno di avventura. Narra della bellezza e dell’asperità della natura. Di quanto sia piacevole essere bambino e dei pericoli in cui possiamo incorrere senza la guida di un adulto. Parla di amicizia e di lealtà e delle manchevolezze di quegli amici a cui siamo così fedeli. E tutti questi temi si assommano nella figura centrale del Rospo, che continua ad essere un personaggio adorabile – e adorato – malgrado il suo incredibile egoismo, le sue insopportabili ossessioni e la totale mancanza di buon senso”
Questi temi così sentiti emergono dalla biografia di Grahame, dalle vicissitudini cui andò incontro fin da bambino e dal successivo rapporto con l’unico figlio Alistair, detto affettuosamente Topolino, nato prematuro nel 1900, privo della vista da un occhio e sefferente di strabismo dall’altro, di intelligenza pronta e viva, ma di grande maleducazione, grazie all’indulgente e incondizionata ammirazione dei genitori, che vedevano in lui un piccolo genio
Si suppone che il Rospo adombri il ritratto del piccolo e prepotente Alistair, circondato da figure di adulti pazienti e disponibili, incarnati nei personaggi di Talpa, Tasso e Topo.
Il giovane Topolino nel momento dello scoppio della Prima Guerra Mondiale affrontò la realtà con la travolgente energia degli adolescenti, decidendo di farsi soldato per il proprio paese. I genitori sapevano bene che il suo stato fisico non l’avrebbe permesso, tuttavia il padre sostenne la sua insensata presa di posizione e gli ottenne l’iscrizione all’università di Oxford e l’ingresso nel Corpo dei Cadetti, con mansioni che gli avrebbero permesso di credere alla realizzazione del proprio progetto. Ma la realtà, ancora più crudele dell’inganno, aspettava al varco il ventenne Alistair, che finì ucciso da un treno, in una maniera che i genitori tennero sempre a velare.
Quando anni dopo il tragico evento l’accademico americano Clayton Hamilton gli disse che molte persone aspettavano il seguito de “Il vento nei salici”, persone che avevano amato profondamente le vicende di Talpa, Tasso, Topo e Rospo, Kenneth Grahame non fu pressoché toccato dalla consapevolezza di ciò.
“Hanno amato la storia. Non si sono neppure resi conto da dove è scaturito tutto quell’atroce dolore, e tutta quella gioia.”
E Haddon conclude con una toccante riflessione. “Almeno sulla pagina scritta Grahame era stato capace di garantire al Rospo un lieto fine”.
Due parole su Mark Haddon.
Nato a Northampton nel 1962, ha scritto e illustrato storie per ragazzi, ma ha raggiunto un clamoroso successo con il romanzo Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte. Protagonista della storia è l’adolescente autistico Christopher Boone, che riesce a uscire dal proprio isolamento emulando l’amato Sherlock Holmes e indagando sull’orrenda fine del cane della vicina trafitto con un forcone. Di questo romanzo è stata fatta anche una riduzione per ragazzi. Sono seguiti la raccolta di poesie Il cavallo parlante e la ragazza triste e il villaggio sotto il mare e lo scorso anno il romanzo Una cosa da nulla, romanzo per adulti sull’incapacità di comunicazione all’interno di una famiglia come tante e sui drammatici sviluppi che “una cosa da nulla”, appunto, avrà nelle vite dei protagonisti.
Salice piangente, Claude Monet
Nov 26, 2007 @ 20:49:00
Giustissima, l’osservazione sul non abbinamento fra tristezza e pianto: i tristi non piangono, ma rimuginano, si lagnano, cercano di contagiarci. Il pianto nasce o da dolore o da commozione quindi da un contatto reale con un fatto esterno, fosse pure un film sentimentale, e: “E’ stato bello, ho pianto tanto!” è una frase tutt’altro che ridicola. Il triste, intanto, si è annoiato, preso di sé come è, e dice: “Mbah!”
au revoir, gentile blogghiera
Solimano
Nov 28, 2007 @ 00:48:00
Mi è venuto in mente di chiederti che cosa ne pensi dei racconti per bambini di Silvio D’arzo.
ciao!
Nov 29, 2007 @ 19:45:00
@ Solimano
Anche a me è piaciuto molto l’approccio di Haddon al testo. Son d’accordo con te sull’importanza del pianto come reazione direi empatica. Grazie per i commenti sempre interessanti.
@ Giulia
Bella idea la tua di proporre Haddon. I ragazzi sono molto interessati alla scrittura contemporanea ed è giusto soddisfare il loro desiderio di esplorazione.
@ MariaStrofa
Mi cogli impreparata! Conoscevo D’Arzo solo per “Casa d’altri”, ma un’incursione nel sito della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia mi ha fatto scoprire tante cose interessanti. Ho preso nota, grazie al tuo suggerimento, e colmerò presto la lacuna.
Buona serata a tutti 😉