Il nuvolo innamorato e altre fiabe

Copertina_nuvoloAutore: Nazim Hikmet
Titolo: Il Nuvolo innamorato e altre fiabe
Titolo originale: Sevdali Bulut
Traduzione e postfazione: Giampiero Bellingeri
Edizione: Mondadori Oscar 2003
Prezzo: € 7,40

Nazim Hikmet è noto al pubblico come un grande poeta del Novecento e molto meno, quasi per niente, come autore di una deliziosa raccolta di fiabe che dagli anni ’30 alla seconda metà degli anni ’50 “rielaborò, trascrisse, riscrisse, inventò”. Le fiabe,  tradotte in russo nel 1962, in Italia sono state raccolte per la prima volta tutte insieme nel 2000 (Mondadori).
Sono storie scaturite dal ricordo dei racconti che la nonna gli faceva delle antiche storie, ma anche dall’attenta e acuta analisi del folclore turco, in un amabile e limpido avvicendarsi di personaggi: “principesse, nuvoli capaci di amare, contadini sciocchi e ragazzi furbi, maghi crudeli e astute ragazze”.
Sono storie nate grazie a un profondo studio folclorico che si rifa a Veselovskij e Propp e alle narrazioni proprie della penisola anatolica raccolte dal professor Pertev Naili Boratav dell’università di Ankara.
Per entrare nel magico mondo di questa raccolta leggiamo la prefazione scritta dallo stesso Hikmet:
“La letteratura, in ciascuno dei suoi generi, comincia con la fiaba e con la fiaba finisce. Pure la fiaba si avvicina soprattutto alla poesia. Per via di ritmo, ripetizioni, stringatezza, immaginazione, nostalgia, dramma, tragedia, e trattazione penetrante delle cose e dell’uomo, creazione di oggetti, persone animali nuovi, unici in natura e nella società, recanti in sé le nostre speranze, paure e gioie profonde e ampie, è certo la fiaba che si avvicina di più alla poesia. Persino la musica, quel linguaggio al di sopra delle lingue, non è ancora patrimonio comune a popoli e livelli di civiltà. L’orecchio europeo non intende immediatamente a un primo ascolto la musica dell’Asia. Beethoven non è un compositore di agevole accesso per tutti gli strati culturali. La fiaba invece appartiene all’insieme di nazioni, età, culture. Il Giapponese o l’Inglese afferrano subito il senso di una fiaba ritenuta la più autenticamente araba, Il Russo – vuoi l’operaio, il lavoratore di una fattoria collettiva, lo scienziato atomico – assapora appieno la favola turca più tipica, e il bambino indiano può ben ascoltare con il suo papà la medesima storia. E’ la fiaba  ad accomunare l’umanità. E alla fin fine  (quando si tralasci il fatto che esse riflettono le peculiarità locali, le differenze dei vari paesaggi in cui esse evolvono), le fiabe si assomigliano tutte, giacché ogni popolo – in modopiù lento, più rapido, più raccorciato, più torturoso – ha attraversato fasi pressappoco simili di sviluppo sociale, e ognuno, provenendo da una stessa fonte, è diretto verso uno stesso gran mare. Gli studiosi disputano sulle ragioni di tale somiglianza, e avanzano opinioni diverse. Quanto a me, ripeto, limportante è che queste somiglianze avvicinino i popoli; e il mondo delle fiabe, credo, è uno degli ambiti culturali dove il nazionalismo non la spunterà devastante. In questo piccolo libro, ho rielaborato a modo mio qualche fiaba registrata dal vivo a opera del grande folclorista turco Boratav e dai suoi allievi. Perché? – mi chiederete. Per incamminare le fiabe verso una risposta a certe questioni attuali, ho provato anch’io a condurre alcuni saggi ed esperimenti, non tanto imitando la tecnica della fiaba, piuttosto di quella tecnica servendomi. Non sarei proprio in grado di sapere se le apprezzerete; sono invece sicuro che vi piaceranno quelle raccolte da Boratav. L’ascolto vale persino più della lettura. Cominciamo dunque a raccontare: C’era una volta…”
Hikmet non si limita a riproporre, ma sceglie, arricchisce, reinventa con maestria. Alle fiabe tradizonali a volte impone un titolo da lui diversamente elaborato, per esempio “Testapelata e Mamma Orca” al posto  dell’originario “Testapelata che va a prendere in moglie la la mdre dei prodi” o “Il re cieco” anziché “La più bella del Mondo” o ancora “Le tessitricici” invece di “Le donne di Giulfa” e poi scansa le regole più comuni dell’avvio e del procedere nella fiaba e ironizza, si diverte e ci diverte, pare si dilunghi e invece piomba fulmineo del bel mezzo del concetto. Ne “Il nuvolo innamorato” che dà il titolo alla raccolta, assistiamo ammirati a un pirotecnico succedersi di trasformazioni, a cominiciare dal mondo che nasce dal flauto del derviscio demiurgo fino al nuvolo (altri non è che una nuvola maschio, innamorato della bella Aiscé) e ai vari personaggi della vicenda,
Una piacevolissima scoperta, questa favole di Hikmet, per godere delle quali non è proprio necessario essere profondi conoscitori della cultura araba per capire il sacrificio del nuvolo che non esita a dissolversi in pioggia per salvare il giardino dell’amata, minacciato  dalle sabbie del paese dell’Aridità che il perfido e nero Seifì vi ha rovesciato, ma che tornerà sottoforma di grande bocca disegnata a sorriso in questo Paese del Flauto in cui i buoni giustamente sono premiati e i cattivi altrettanto giustamente puniti.
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Il vento nei salici

C’era una volta un bambino, di nome Alistair, il quale aveva una grande fortuna. Il suo papà, stimato segretario della Banca d’Inghilterra, sapeva raccontare storie bellissime, che inventava apposta per lui. Tutto filava liscio, ma un giorno si presentò un problema: Alistair sarebbe dovuto andare in vacanza al mare, ma senza il suo papà: era impensabile rinunciare alle sue avvincenti storie, Alistair si impuntò nel non voler partire e così al paziente e fantasioso papà rimase solo una soluzione: si impegnò a inviargli regolarmente delle lettere nelle quali avrebbe proseguito il racconto che tanto lo affascinava.Sembra una favola, invece  è la storia della nascita di “Il vento nei salici”, la più famosa opera dello scozzese Kenneth Grahame, pubblicata per la prima volta nel 1908 e diventata rapidamente un classico della letteratura per ragazzi.
La scrittrice e critica inglese Naomi Lewis, una voce di grande autorità in Inghilterra nel campo della letteratura per  ragazzi, disse di Grahame che “Ben pochi sono i grandi scrittori  per ragazzi che hanno veramente amato i ragazzi”
Protagonisti della vicenda sono Rospo, simpatico briccone che si fa travolgere dalla passione per i motori, Talpa e Topo d’acqua,casalinghi e tranquilli,Topo di mare, sconveniente alter ego di Topo d’acqua, e il vecchio e saggio Tasso. La vicenda ruota tutto intorno al microuniverso del fiume e della sua ricca vegetazione, lontano da quello che Topo definisce il “Gran Mondo” spiegando alla stralunata Talpa che è “qualcosa che non conta, né per te né per me.Io non ci sono mai stato, e mai ci andrò, e neppure tu, se tieni un briciolo di senno.”
Ma questo microcosmo non è riduttivo, limitante, anzi, al contrario. E’ un universo di pensieri e di azioni che ne fanno la cassa di risonanza della realtà esterna e più lontana, un mondo molto anglosassone e pieno di umorismo nel quale lo scoppienttante Rospo giganteggia con la sua indomabile gioia di vivere e sconvolge il piccolo mondo benpensante dei suoi amici i quali non esitano anche a ricorrere alle maniere forti pur di domare la sua smodata passione per l’automobile, che irrompe con grande fragore di clacson in questo ambiente un po’ sonnolento.
Il testo di Grahame affascinò Fenoglio, che ne fece una bella e intensa traduzione dal linguaggio oggi un po’ insolito, ma sempre di forte impatto, il cui manoscritto è custodito presso il Fondo Fenoglio di Alba.Traduzione la quale, secondo John Meddemmen, è molto legata alla stesura in inglese , poi tradotta in italiano, della storia di Johnny, ragazzo nato come Fenoglio nel 1922, anno della marcia su Roma, partigiano appassionato di letteratura inglese.
La traduzione di “Il vento nei salici” uscì postuma, nel 1982, così come altre sue opere.
L’edizione Einaudi tradotta da Fenoglio è superbamente assecondata dalle illustrazioni di Ernest H. Shepard, tutte in bianco e nero e dalle quali quasi emana il profumo di terra, di muschio ed emerge il movimento dell’acqua.
Il vento_FenoglioNell’edizione EL del 2001 la traduzione è stata affidata a Mauro Rossi, che l’ha snellita linguisticamente, e arricchita dai colori dell’illustratrice e scrittrice inglese Inga Moore.
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Il titolo del VII capitolo del romanzo, “Il pifferaio alle soglie dell’alba” è un riferimento mitologico al dio Pan ed è il titolo scelto dai Pink Floyd pr il loro primo album, pubblicato il 5 agosto 1967, appunto “The Piper at the Gates of the Dawn”, un disco dall’atmosfera onirica, favolistica e magica pressoché scritto interamente da Syd Barret.
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De “Il vento nei salici” esiste anche un’edizione con le belle illustrazioni di Arthur Rakham, il celebre illustratore vittoriano dall’inconfondibile tratto.
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Dal romanzo di Grahame sono state tratte anche versioni cinematografiche, come la surreale produzione dei Monty Pyton del 1996 o più classici film d’animazione come quello americano del 1949, inserito nei classici Disney, o una più recente versione inglese del 1997.
Il vento nei salici Monty PytonTitolo:Il vento nei salici
Autore:Kenneth Grahame

Traduttore: Beppe Fenoglio
Illustrazioni: Ernest H. Shepard
Edizione: Einaudi Tascabili 1982
Prezzo:£.15.000

Della borsa delle donne

 

Il requisito fondamentale della mia borsa deve essere uno solo: poter contenere un piccolo libro.
LibroBorsa teieraChe sia fatta a  sacco, a zainetto, che sia divisa in scomparti o dotata di tasche e taschini non ha molta importanza. Deve essere abbastanza comoda per contenere anche un libro.
 

Ma da un po’ di tempo a questa parte c’è qualcosa che non va. E credo di interpretare il sentimento di altre donne. 

Sono alla cassa del supermercato. La cassiera aspetta paziente, accenna pure un sorriso di comprensione, ma io, con la coda dell’occhio, sbircio la fila che si ingrossa dietro di me. Che cosa stoPortafogli facendo? Frugo nella borsa alla ricerca dell’unica cosa che in quel momento mi occorra davvero: il portafogli. Pagare in contanti o con la carta di credito è irrilevante purché quel piccolo oggetto si faccia trovare e io non percepisca più gli sguardi malevoli dei clienti e non immagini i loro commenti, che non saranno da meno. E trovo il libro.

Piove. Sono davanti al portone di casa, in una mano la borsa eChiavi nell’altra l’ombrello. Malgrado la faccenda del pollice opponibile non sono capace di cercare nella borsa tenendo l’ombrello in mano, così lo chiudo. E comincio a bagnarmi mentre frugo nella borsa alla ricerca dell’unica cosa che in quel momento mi occorra davvero: il mazzo delle chiavi. E trovo subito il portafogli. E poi il libro.

Un pomeriggio ventoso. Gli occhi cominciano a pizzicare e a lacrimare; il naso non tardaFazzoletti di carta a partecipare con solidarietà all’evento. Allora frugo nella borsa alla ricerca dell’unica cosa che in quel momento mi occorra davvero: il pacchetto dei fazzoletti di carta. E infilo un dito nell’anello del mazzo delle chiavi. E poi trovo il libro.

Al parcheggio. Non sono ancora in vista della macchina e già mi assale il dubbio; per unBiglietto parcheggio momento voglio credere di vederlo biancheggiare sul cruscotto o lo immagino nel vano portaoggetti accanto al sedile.
Perché illudermi? Rammento con sicurezza il gesto inconsulto con il quale l’ho lasciato cadere nella borsa. Non infilato giudiziosamente in un taschino, proprio lasciato cadere nella borsa, dove capita. A rispettosa distanza dalla cassa frugo nella borsa alla ricerca dell’unica cosa che in quel momento mi occorra davvero: il biglietto del parcheggio. E trovo un fazzolettino di carta sfuggito al pacchetto. E poi trovo il libro.


Basta, non ne posso più. Eppure la soluzione è così ovvia: ci vuole una borsa più piccola.

Piena di entusiasmo mi dedico alla ricerca e finalmente la individuo, negletta in fondo all’armadio. Eppure è carina e i colori non fanno a pugni con le scarpe.
borsetta Come ho fatto a non pensarci prima? D’ora in avanti affronterò baldanzosa ogni situazione, mi basterà infilare la mano nella mia piccola, graziosa borsa e il gioco sarà fatto. Ogni cosa al suo posto.

Niente più code al supermercato, docce improvvise, lacrimazioni inopinate e panico da parcheggio. Ogni cosa al suo posto.
Non è possibile! La ricerca dell’unica cosa che di volta in volta mi occorra davvero continua ad essere affanosa e caotica.
Per una severa disamina rovescio sul tavolo tutto il contenuto della borsetta, dalla quale fuoriescono, in ordine sparso:
– il libro (ho premesso che non ne faccio a meno)
– il cellulare (e se avessi bisogno di fare o ricevere una telefonata all’improvviso?)
– la rubrichetta telefonica (e se si cancellassero i numeri dalla rubrica del cellulare?)
– l’auricolare per il cellulare ( e se davvero le onde del cellulare facessero male?)
– le foto dei ragazzi (niente se, come poteri stare senza?)
– la carta d’identità e la patente (niente se, al massimo potrei metterle insieme in un piccolo porta documenti)
– l’abbonamento del pullman (niente se, bisogna fare qualcosa contro l’inquinamento)
– gli orari dei pullman e dei treni (e se perdessi il pullman, chi si ricorderebbe a che ora partono i treni?)
– qualche bustina di zucchero (e se avessi un improvviso calo di pressione?)
– il porta schede telefoniche (e se non potessi usare il cellulare?)
– le bustine di sale di lisina (e se mi venisse mal di testa all’improvviso?)
– il portafogli (niente se, è indispensabile)
– l’i-pod (e se non volessi solo leggere?)
– il moleskine ( e se dovessi prendere appunti?)
– la penna (niente se, quella non mi manca manca mai)
– i fazzoletti di carta (niente se, sono molto più pratici del vezzoso fazzoletto di stoffa)
– la pen drive ( e se dovessi spostare dei dati da casa all’ufficio o viceversa?)
– le chiavi di casa (niente se, mica c’è sempre qualcuno che ti aspetta!)
– gli occhiali da sole (niente se, la luce può irritarmi gli occhi anche in inverno)
– le chiavi della macchina (e se cambio idea sull’opportunità di usare il pullman o il treno?)
– l’ombrello pieghevole (e se dovesse piovere all’improvviso?)
– il portamonete con le monetine souvenir dei viaggi (e se a me facesse piacere portarmelo dietro, avreste qualcosa da ridire?)
Borsa svuotata
Come può stare tutta ‘sta roba in uno spazio così piccolo? Secondo me la spiegazione è una sola: noi donne abbiamo la borsa di Mary Poppins…
Mary Poppins

A scuola di fascino

charmschoolgrande“No! Al Corso di Fascino non ci vado… Nemmeno per un miliardo. Nemmeno se mi getti nell’olio bollente: Nemmeno se mi preghi con le lacrime agli occhi… Se mi fai questo, non ti parlerò mai più. Non porterò più fuori la spazzatura. Non ti farò più il tè quando sarai stanca. Non vedrai più una pagella. E da grande farò la navigatrice transoceanica, così non dovri più stare in pensiero per me qualche ora ogni tanto, ma ventiquattro ore su ventiquattro.” (pag.7) 

Bonny Bramble è una ragazzina come tante, né bella né brutta, né grassa né magra, con una famiglia tranquilla. Il suo problema è la prospettiva di un’estate vuota e solitaria a causa del trasferimento in un’altra città, lontano dai vecchi amici, in attesa di cominciare  a frequentare una scuola della quale non sa nulla.
Ma si sa che i guai non vengono mai soli. In assenza del papà, bloccato da un guasto al furgone del trasloco, la mamma deve iscrivere Bonny a un corso che duri un’intera giornata, tanto quanto il proprio di Contabilità (livello avanzato), indispensabile per affrontare il nuovo lavoro.
Non c’è scampo, tra varie possibilità rimane solo il Corso di Fascino e Bonny si trova catapultata nel bel mezzo del gruppo diretto da miss Opalene, composto di stupefacenti ragazzine che sembrano bambole: capelli dall’acconciatura perfetta, unghie laccate, pelle rosea e levigata, scarpette di strass, abiti vaporosi. Il loro ideale è essere belle e sempre perfette in ogni situazione, all’ultima moda e affascinanti. E sono tutte ansiose di gareggiare nel Riccioli e Merletti Show per aggiudicarsi il diadema di brillanti e il diritto di scegliersi un nome tipo Miss Perla Perfetta, Miss Splendida Margherita, Miss Susanna Spumeggiante.
La rivalità che le divide si taglia con il coltello e Bonny si sente un’aliena tra di loro, con i suoi problemi pratici. Per sfuggire all’orribile prospettiva di un’intera giornata a base di consigli di bellezza e di trucchi per apparire sempre al meglio, si finge l’assistente della regista Maura.
Di colpo agli occhi di quelle ragazzine odiose, che però in fondo le fanno pena con le loro fissazioni sul fascino e sulla bellezza, Bonny appare un’eroina, colei che, giocando abilmente con le luci e con gli effetti speciali, può determinare il successo o il fallimento della loro esibizione nello show.
Bonny crede di poter fare amicizia con una di loro, Araminta, che le sembra diversa, ma non tarda ad accorgersi della difficoltà dell’impresa e della profonda differenza che le divide. Improvvisamente un’idea prende forma nella sua testa; deve fare qualcosa per quelle ragazzine, liberarle dalla schiavitù di una vita così irreale.
Con la complicità di Araminta, che non è poi così terribile come sembrava, Bonny durante i numeri dello spettacolo crea effetti di luce e di suoni e situazioni che colgono di sorpresa le ragazzine, obbligandole ad improvvisare e a tirar fuori il meglio di sé. Al termine dello spettacolo miss Opalene è visibilmente scossa dalle esibizioni assai poco ortodosse delle sue allieve, le quali invece sono entusiaste e vogliono che il Corso di Fascino rimanga così vivace; inoltre decidono di seguire anche altri corsi per assecondare le loro inclinazioni fino a quel momento trascurate.
Per la sua sapiente regia dello spettacolo Bonny viene eletta a sorpresa Miss Scintilla. E’ l’inizio di nuove amicizie che renderanno meno duro a Bonny il cambiamento e che daranno un nuovo significato alle vite tutta apparenza e bellezza delle piccole miss.
Con allegra ironia e con fantasia Anne Fine ci mette in guardia contro il pericolo dell’apparenza che nella nostra vita rischia di relegare la sostanza al rango di comparsa (oramai lo vediamo tutti i giorni) e si prende gioco dell’ambiente patinato delle aspiranti stelline, il cui orizzonte è limitato al fascino e alla bellezza a tutti i costi. La scrittrice inglese, nata a Leicester nel 1947, ha pubblicato molti libri per ragazzi, il più famoso dei quali è senza dubbio “Un padre a ore” dal quale nel 1993 è stato tratto il film “Mrs.Doubtfire” interpretato da Robin Williams.
Mrs DoubtfireCharm School

Anne Fine
Salani, 2007
Traduzione di Paolo Livorati
euro 12,00

APPELLO

Splinder (03/09/2007) UN APPELLO DALLA ROMANIA. Cosmin ha 10 anni ed è uno dei piccoli che stiamo aiutando da tempo con il nostro progetto di intervento a favore dell’ospedale Budimex di Bucarest. Ieri sera ci ha contattato la psicologa della nuova Speranza che lo sta seguendo. Il bimbo sta, fisicamente, molto male. Per questo è rientrato a casa, per passare lì quel poco che gli rimane da Leggi ancora

Tre modi di scrivere per l’infanzia

letturaRiordinando la biblioteca, mi è capitato tra le mani il grosso volume di Clive Staple Lewis “Le cronache di Narnia” (Mondadori, 2006, euro 20,00) e ne ho approfittato per rileggere il breve saggio posto a conclusione dell’opera: “Tre modi di scrivere per l’infanzia”.
Lewis sostiene che, secondo la sua esperienza, di questi modi due siano buoni e uno si riveli quasi sempre cattivo.
Che cosa caratterizza questo modo “cattivo”? Il vedere nella scrittura per l’infanzia la necessità di dare ai piccoli lettori ciò che vogliono, anche se all’autore non piace o non interessa affatto.
Un secondo modo ha solo una parziale somiglianza con il precedente e la differenza consiste nel fatto che, seppure cerca di dare al bambino ciò che desidera, è lo sviluppo scritto di una narrazione orale fatta ad un ascoltatore reale e ciò impedisce al narratore di proprinargli qualcosa in cui non creda, perché egli sentirebbe la stonatura e si accorgerebbe di aver di fronte una costruzione, nata dalla mentalità di un adulto.
Il terzo modo, l’unico che Lewis conoscesse, consiste nello scrivere storie per l’infanzia perché esse costituiscono la forma migliore in cui esporre ciò che si sente e si vuole trasmettere, tenendo presente un dato di fatto fondamentale:”l’esperienza vissuta da bambini differisce enormemente da quella di cui sono stati testimoni i nostri parenti e genitori”.
Lewis propone la trilogia di Edith Nesbit sulla famiglia Bastable come esemplificazione di un principio generale secondo il quale se il racconto è la forma più adatta a esprimere ciò che l’autore vuole dire, nè conseguirà che l’interesse per l’argomento non sarà vincolato all’età anagrafica del lettore.
Anzi, Lewis arriva a sostenere che se una storia per bambini piace solo ai bambini, non è un granché.
Questa regola gli sembra valida in modo particolare se applicata al suo genere preferito, il fantastico/fiaba, e sottolinea come nel nostro mondo moderno il concetto di “adulto” abbia una forte connotazione positiva, contrapposto alla disprezzata “sindrome di Peter Pan”.
“Un uomo che a 53 anni ammetta che nani, giganti, streghe e bestie parlanti gli siano cari come quando era bambino, non verrà lodato per la sua anima eternamente giovane, ma deriso e compatito per arresto dello sviluppo”.
La difesa di Lewis contro questa distorta visione delle fiabe e della letteratura per ragazzi si articola in tre punti:
1) preoccuparsi di sembrare adulti, aspirare alle cose da adulti e indispettirsi al sospetto di passare per infantili sono fasi dell’adolescenza. Fasi che a volte si protraggono nella prima maturità o addorittura nella mezza età, provocando così il determinarsi di personalità dallo sviluppo bloccato. Diventare adulto significa mettere da parte la paura di sembrare infantile e il desiderio di mostrarsi cresciuto.
2) L’accusa di infantilismo deriva dal non aver abbandonato i gusti che si avevano da ragazzi, quando in realtà il processo di crescita è un arricchimento, un aggiungere altro ai propri gusti e alle proprie preferenze.
3) Associare la fiaba e il fantastico con il mondo dell’infanzia è un pregiudizio, come ha dimostrato anche Tolkien nel suo saggio sulla fiaba. Egli sostiene che il fascino esercitato dalla fiaba sull’adulto consiste nella possibilità che essa gli offre di crearsi un proprio mondo personale. Inoltre secondo Jung “la fiaba libera gli archetipi che dimorano nell’inconscio collettivo e quando ne leggiamo una particolarmente bella obbediamo all’antico precetto del conosci te stesso”.
A queste teorie Lewis aggiunge la propria, secondo la quale l’uso di creature fantastiche dai comportamenti umani permette di esprimere tipi e psicologie con maggior incisività che nel romanzo, a vantaggio di lettori che ancora di esso non conoscono la forma.

lettura_2Così come non tutta la letteratura infantile è fantastica, non tutti i libri del fantastico sono infantili, benché i racconti fantastici per bambini e per adulti abbiano molti più punti in comune tra loro che non con il romanzo o con il racconto “sulla vita dei ragazzi”. Tutto ciò perché il lettore autentico non applica alle proprie letture il criterio di divisione per blocchi di età.

Che “Quelli che vengono biasimati per leggere libri infantili in età matura sono gli stessi che da piccoli venivano criticati per leggere libri da grandi” è un altro innegabile dato di fatto che Lewis pone in evidenza e continua ricordandoci che l’accusa più frequente rivolta alla fiaba è che essa distorca agli occhi del bambino l’immagine del mondo in cui vive. In realtà la fiaba suscita un desiderio di “fantastico” il quale appaga il lettore a livello emotivo, diversamente da quanto fa invece un libro che risvegli altri desideri, più concreti e materiali, più legati al vissuto quotidiano e perciò più suscettibili di creare reali delusioni.
Entrare in un mondo fatato è un bisogno diverso da quello di essere il più amato in famiglia o il più ammirato della classe.
Lewis considera ancora più grave l’attacco alla fiaba portato da coloro i quali la combattono per difendere i bambini dalla paura. Il problema è che non si sa che cosa provochi o no la paura nei bambini e quindi, secondo queste persone, non si dovrebbe far nulla che possa inculcare nei bambini alcun tipo di fobia o si dovrebbe nascondere loro che sono nati e vivono in un mondo del quale il male è parte integrante, con tutto ciò che questo fatto comporta.
Lewis sostiene che le paure sembrano già latenti in ciascuno di noi, pronte a manifestarsi in qualunque momento, magari anche attraverso un libro, ma a questo punto è lecito domandarsi se si possa parlare di fonte o solo di occasione di paura, né più e né meno come di ogni ogni altra immagine o situazione con la quale il bambino possa venire in contatto perché le fiabe contengono tutto ciò che “nobilita la paura e la rende sopportabile”.
Per concludere Lewis rifiuta non solo la domanda “che cosa vogliono i bambini moderni?”, ma anche la sua conseguenza: “di che cosa hanno bisogno?” perché è convinto che sarebbe più giusto, da parte dello scrittore, domandarsi “di che cosa ho bisogno io?” nella convinzione che ciò che non lo coinvolge profondamente non coinvolgerà neppure i lettori.
“Dobbiamo scrivere per i bambini con gli elementi dell’immaginazione che abbiamo in comune con loro, differenziandoci per il fatto di avere altri interessi che i bambini non condividono…Dobbiamo rivolgerci ai bambini come a nostri pari, sfruttando quella parte della natura umana in cui siamo loro pari” senza timore di infantilismo o di effetti di involontaria comicità, senza voler recitare la parte del Destino o della Provvidenza.

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