Questo sistema, a dispetto del rinnovamento didattico e delle belle parole, trova intensa applicazione nelle scuole di ogni ordine e grado. Gli esperti cominciano a servirsene fin dalla prima elementare, assegnando ai bambini per compito di copiare pagine su pagine del loro primo libro di lettura. In seconda al lavoro di copiatura (che per il bambino non ha il minimo senso, e non una briciola d’interesse) si può aggiungere il lavoro di divisione in sillabe. Sai che divertimento. Col tempo, arriva l’analisi grammaticale, poi fa il suo trionfale ingresso l’analisi logica. Prendete un bel raccontino di Tolstoj, condannate uno scolaretto ad analizzare nomi e pronomi, verbi e avverbi, e vi do per certo che, vita natural durante, egli assocerà il nome di Tolstoj a una viscerale sensazione di fastidio che lo terrà lontano da Anna Karenina come la peste e gli farò schivare Guerra e pace come schiverebbe un nugolo di tafani.
La trasformazione del libro in uno strumento di fatica prosegue e s’intensifica attraverso le varie fasi del riassumere, del mandare a memoria, del descrivere le illustrazioni, eccetera. Tutti questi esercizi moltiplicano le difficoltà della lettura, anziché agevolarle, fanno del libro un pretesto togliendogli ogni capacità di divertire, se originariamente ne possedeva, di commuovere, se ne era capace, d’interessare se era concepito per interessare.
La lettura non è più un fine da perseguire lodevolmente, ma un mezzo per attività più serie, o presunte tali. Ciò corrisponde perfettamente alla concezione del bambino come mezzo: sia il fine il voto, la pagella, l’addestramento alla pazienza, la preparazione alla vita. chissà quale preparazione, a quale vita: presumibilmente a quella concepita come una sofferenza, per la quale bisogna essere allenati. Il libro che entra nella scuola sotto lo schema del rendimento scolastico produce riflessi meramente scolastici: non diventa la cosa bella e buona, di cui si ha bisogno, ma la cosa che serve al maestro per esprimere un giudizio. La scuola come tribunale, anziché come vita.
Così è elusa la difficoltà principale, cioè quella di far nascere il bisogno della lettura, ch’è un bisogno culturale, non un istinto, come mangiare bere e dormire, non una cosa della natura.
Gianni Rodari – Libri d’oggi per ragazzi d’oggi (1967)
Quella che Rodari descrive è effettivamente l’esperienza personale di un gran numero di scolari delle scuole elementari e medie inferiori, per fortuna andata migliorando nel tempo per qualità.
Per carità, lo studio e la successiva applicazione dell’analisi grammaticale e logica sono una sacrosanta necessità, ma perché farlo uccidendo il fascino e l’immediatezza di un testo narrativo? Nei testi scolastici sono sempre esistiti dignitosi brani da analizzare e l’uso di un testo narrativo dovrebbe costituire l’eccezione, non la regola. Nel senso che è interessante studiare la struttura di un racconto o di un brano di romanzo, ma per il fascino che esercita la possibilità di entrare così nel meccanismo di scrittura dell’autore, non certo ai fini puramente utilitaristici di ottenere almeno la sufficienza in italiano.
In questo modo sì che, come scriveva Rodari, anche il testo più bello si rivela un arido ginepraio di regole teoriche da riconoscere e applicare in pratica e lo sforzo costringe il giovane lettore a sorvolare sull’armonia delle frasi che sta leggendo.
Ovviamente molti romanzi e racconti sono utilizzati come testi scolastici e quindi sono dotati inevitabilmente di un apparato didattico che lo studente deve utilizzare per dimostrare di aver compreso e assimilato ciò che ha letto.
Anche in ciò la didattica ha fatto progressi. Le schede sono più interessanti e articolate, sfruttano tutte le possibilità offerte dal testo per sconfinare anche in altri campi del sapere, favorendo incursioni nella storia, nell’arte, nella scienza, secondo la trama e l’argomento, incursioni che consentono di attuare relazioni interdisciplinari molto più stimolanti della fredda richiesta di una breve esposizione che metta in evidenza il pensiero dell’autore o la comprensione del testo da parte del lettore. Le schede didattiche possono costituire parte integrante del libro, di solito inserite alla fine di ogni capitolo, o un supporto a sé, abbinato al libro.
Per concludere vorrei dissentire, almeno in parte, sull’ultima affermazione di Rodari sulla lettura intesa come bisogno culturale che va fatto nascere e non può essere considerato un istinto, una cosa della natura. Io non sono pienamente convinta di ciò, al contrario ritengo che un gran numero di lettori, o più o meno forti, abbia sviluppato in sé e da sé questo bisogno di leggere, spesso in un ambiente scarso di stimoli e di sollecitazioni, nel quale il libro costituiva l’eccezione e non la regola. Mi è capitato spesso di parlare con persone che si sono descritte come amanti dei libri e della lettura per istinto, istinto poi affinato nel tempo e con i mezzi più idonei, ma in ogni caso bisogno primario non generato da favorevoli condizioni ambientali e sociali. Io stessa ho cercato molte volte di capire per quale meccanismo interno fossi irresistibilmente attratta dalle vetrine delle librerie quando le mie compagne di scuola s’incantava di fronte a quelle dei negozi di giocattoli. Ho rinunciato da tempo, non trovo una spiegazione, così come non la trovo al fatto che molti ragazzi non si possano definire “lettori” pur essendo cresciuti in mezzo ai libri, avendoli avuti sempre a disposizione per qualunque necessità o curiosità. Che sia una specie di assuefazione? Dicono che chi viva nelle città d’arte finisca con il diventare indifferente alle bellezze che lo circondano; si può forse dire la medesima cosa di chi cresca all’ombra di una biblioteca domestica ben fornita?
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